CANON  17mm  f/4:

I  "NUMERI  MAGICI"

PERIODICAMENTE  RICORRENTI

IN  CASA  CANON



ABSTRACT

Canon, in the recent history of its SLR systems, has repeatedly made available lenses of 17mm f/4, a sort of "magic number" that, beginning from the first FD model launched in 1970, has evolved into the Zoom EF 17-40mm f/4 L (unveiled in 2001) and the incredible EF 17mm f/4 TS-E L tilt and shift of 2009: lenses with different targets and performances that share the same nameplate data. In this article I present the technical design of the FD 17mm f/4 and an interesting set of information on EF 17mm - 24mm tilt & shift wideangle lenses, with design drawings related to production models and tilt & shift prototypes by 16,5 mm, 17mm, 20mm, 24mm and 20-24mm zoom focal lenght; there are also some image samples created with the Canon FD 17mm f/4 and EF 17mm f/4 TS-E L and a quick comparison test between the 17mm f/4 TS-E L and the 17-40mm f/4 L at 17mm focal length.

02/05/2012

 

(qualcuno, terminato di leggere il pezzo, mi farà notare che disquisendo di tali argomenti sono in abbondante ritardo su altri portali ed organizzazioni, tuttavia faccio presente che quanto viene illustrato, fotografato e provato nei miei articoli è stato preventivamente acquistato da me, a mie spese, senza alcun utile o tornaconto, talvolta - e addirittura - appositamente per completare un pezzo, quindi i tempi effettivi devono anche fare i conti con il famigerato budget familiare! NdR)

L'avvento dei grandangolari spinti di tipo retrofocus, in grado di funzionare regolarmente su apparecchi reflex SLR è un fatto abbastanza recente, ed al riguardo si possono considerare pietre miliari modelli come i Carl Zeiss Jena Flektogon 25mm f/4 e 20mm f/4 oppure i Carl Zeiss Distagon 25mm f/2,8 per Contarex; fu sempre Zeiss ad additare nuovi pascoli del cielo quando, nel 1966, sfondò la barriera dei 100° sulla diagonale col celebre Distagon 18mm f/4, creando un precedente al quale tutti i corredi con velleità professionali dovevano giocoforza confrontarsi; proprio nell'intento di sopravanzare il capolavoro Zeiss di Glatzel, i progettisti Canon Akira Tajima e Kikuo Momiyama (impegnati nella realizzazione dei grandangolari per il nuovo sistema FD) misero in cantiere un supergrandangolo con identica luminosità e focale addirittura inferiore; tale obiettivo vide la luce nel Marzo 1970 con la denominazione Canon FD 17mm f/4, un obiettivo che garantiva ben 104° di campo sulla diagonale con una correzione della distorsione molto buona per quei tempi, anche se non spinta ai livelli record del Distagon 18mm.

Questo notevole pezzo del neonato corredo creò in casa Canon una sorta di standard, per cui da allora la focale immediatamente inferiore al classico 20mm sarebbe stato sempre un 17mm, senza accettare lo "scontro diretto" con i concorrenti che si erano invece uniformati alla focale 18mm; si può tranquillamente affermare che "17 - 4" costituiscano per il costruttore degli autentici "numeri magici", riproposti nel tempo con notevoli implementi operativi e prestazionali: infatti, nel 2001 vide la luce lo zoom grandangolare a campo esteso della serie professionale, il diffuso EF 17-40mm f/4 L (con identica focale e luminosità d'esordio del capostipite), mentre nel 2009 i sogni di molti divennero realtà alla presentazione dell'atteso ma comunque incredibile EF 17mm f/4 TS-E L tilt & shift che, alla copertura angolare del modello d'origine aggiungeva la possibilità di basculaggio sui due assi pari a 6,5° e - soprattutto - la capacità di decentramento di 12mm in ogni direzione, pari al 50% del lato corto del formato coperto, un arma assoluta per le foto di architettura "impossibili" in interni ed esterni.

Si tratta dunque di un autentico "marchio di fabbrica" che nel corso degli anni ha saputo rinascere dalle proprie spoglie e reinventarsi, pur mantenendo fede a quegli inossidabili ed inconfondibili dati di targa; vediamo dunque come si è evoluta questa generazioni di superwide targati Canon.

 

Il Canon FD 17mm f/4, in montatura FD new dell'ultima generazione, in una moderna interpretazione funzionale su Leica M digitale e mirino esterno (non perfettamente corrispondente ma sufficiente alla bisogna); la messa a fuoco avviene a stima, grazie all'estesa profondità di campo, e l'esposizione risulta comoda e rapida, grazie all'automatismo a priorità di diaframmi (stop-down) con blocco di memoria AE.

 

I tre obiettivi Canon con focale disponibile da 17mm f/4: il tipo FD presentato nel 1970, lo zoom EF 17-40mm f/4 L del 2001 ed il moderno EF 17mm f/4 TS-E L decentrabile e basculabile del 2009: quasi quarant'anni ed un comune denominatore.

 

Nonostante gli stessi dati di targa, la complessità ottica del 17mm TS-E L è largamente superiore, dal momento che l'obiettivo deve garantire un cerchio di copertura da 67,26mm contro i 43,2mm del 17mm tradizionale: in pratica, questo 17mm è un obiettivo ipergrandangolare ortoscopico con un angolo di campo effettivo sulla diagonale pari a circa 128° (contro i 104° di un 17mm tradizionale) per cui, se tale schema fosse ridotto in scala fino a coprire di misura il cerchio circoscritto al formato 24x26mm, la sua focale sarebbe di circa 10,5mm.

 

I due 17mm, uno l'epigono dell'altro, montati su due corpi macchina che, a loro volta, si passarono direttamente il testimone della tecnica e del design, condividendo molti vocaboli caratteristici: la Canon T-90 e la Canon EOS-1 primo modello.

 

Il Canon FD 17mm f/4, come detto, fu progettato da Akira Tajima e Kikuo Momiyama; l'obiettivo venne calcolato nel corso del 1969 contestualmente all'FD 24mm f/2,8 primo tipo, col quale condivide alcune caratteristiche ottiche basilari ed il moderno sistema flottante; di questo modello esistono tre versioni: l' FD 17mm f/4 con breach-lock del Marzo 1970, l' FD 17mm f/4 SSC con breach-lock ed antiriflessi multipli del Marzo 1973 e l' FD new 17mm f/4 del Dicembre 1979 (il modello illustrato in questa sede), con nuova livrea nera.

 

L'FD 17mm f/4 adotta uno schema retrofocus ad 11 lenti in 9 gruppi, con un sistema flottante che - a brevi distanze - modifica lo spazio fra il modulo anteriore L1 - L4 e quello posteriore L5 - L11 (la configurazione raffigurata si riferisce alla distanza minima di 0,3m: ad infinito il gruppo L5 - L11 risulta più arretrato e spaziato rispetto alla lente L4); la focale effettiva è di 17,4mm e lo spazio retrofocale è pari a 2,0714 volte la focale, quindi 36,042mm. L'obiettivo utilizza, come di consueto in casa Canon, vetri ottici forniti dalla Ohara ed adotta 4 elementi alle Terre Rare: due Crown al lantanio (L1, L2) e due Flint al lantanio (L5, L12); il grosso menisco L6 veniva realizzato con un vetro Crown ora obsoleto, mentre la lente K9 prevede un Dense Flint ad alto contenuto di piombo, non più a norma: sarebbe dunque impossibile, oggi, produrre ancora quest'obiettivo con la formulazione originale. Canon ha sempre sbandierato il doppietto acromatico costituito dalle lenti L10 ed L11, ed in effetti in questo elemento troviamo abbinato un vetro Fluor Crown ai fluoruri a bassa dispersione tipo Ohara FSL5 con un Dense Flint ad altissima rifrazione (addirittura 1,923) ed alta dispersione (vD= 20,9): l'intento di questa prova di forza era quello di contenere il più possibile l'aberrazione cromatica, un intento che, come andremo a vedere, non fu perseguito in modo perfetto... Giova ricordare che Kikuo Momiyama, uno dei progettisti, sarà anche il padre del celebre FD 24mm f/1,4 SSC Aspherical.

Il Canon 'FD 17mm f/4 riscosse un discreto successo per la qualità costruttiva, la compattezza, la risolvenza abbastanza uniforme, seppure non eccezionale, ed il prezzo competitivo, una caratteristica comune a tutti gli obiettivi FD, sempre abbinati ad un favorevole value for money.

 

Con un notevole salto temporale e concettuale, il Canon EF 17mm f/4 TS-E L fu lanciato nel 2009 assieme alla versione evoluta del già esistente 24mm f/3,5 TS-E L, denominata appunto "mark II"; si tratta di obiettivi dal nocciolo ottico molto moderno che rappresentano uno dei sogni del fotografo creativo/d'architettura targato Canon.

 

Queste due versioni grandangolari serie L, diversamente dai modelli 45mm e 90mm, rimasti nella configurazione iniziale, si avvantaggiano di una montatura evoluta che permette un decentramento di 12mm in ogni direzione (11mm per le altre versioni), presenta un doppio dispositivo di blocco per il basculaggio e consente di orientare l'asse di decentramento e basculaggio combinati in modo indipendente uno dall'altro, grazie ad una doppia rotazione dedicata; tutto questo mette in mano al fotografo esperto e cosciente strumenti molto duttili che permettono acrobazie finora appannaggio esclusivo degli apparecchi a corpi mobili.

 

Il 17mm f/4 TS-E L ed il 24mm f/3,5 TS-E L mark II su EOS 5D mark I e 5D mark II; la qualità ottica di questi obiettivi consente di utilizzarli alla stregua di eccellenti grandangolari generici nelle foto di tutti i giorni, anche quando non si richieda il brandeggio. Notate, sul 24mm, il pomello maggioratore in resina applicato al comando per il decentramento, un accessorio fornito a corredo che agevola le operazioni ma crea interferenze meccaniche su corpi EOS APS-C con pentaprisma sporgente a causa del flash incorporato: il montaggio di tale sovrastruttura è quindi lasciata alla discrezione dell'utente.

 

Il 17mm f/4 TS-E L focheggia con sistema flottante fino a 0,25m (e fino a 0,21m la versione da 24mm mark II), consentendo di utilizzarli anche nella ripresa di plastici e modellini, sfruttando il decentramento ed il basculaggio per fornire una prospettiva ed una profondità di campo naturale.

 

Dal momento che la copertura effettiva del 17mm TS-E L su una diagonale di 67mm è superiore a 125°, è ovvio che le lenti anteriori risultino sporgenti su una montatura molto rastremata, così concepita per evitare la vignettatura; ciò richiede uno specifico tappo in plastica a baionetta e molta attenzione nell'uso, ma questi menischi emisferici risultano molto affascinanti e comunicano immediatamente la percezione di trovarsi di fronte ad un obiettivo davvero speciale, come in effetti è.

 

Il Canon EF 17mm f/4 TS-E L in compagnia di altre ottiche serie L, sia EF che appartenenti alla vecchia e gloriosa serie FD; fa eccezione, all'estrema destra, il Canon FD 35-70mm f/4 autofocus, da me aggiunto al lotto in virtù della famosa livrea bianco avorio che sarebbe poi divenuta, nel tempo, una cifra esclusiva delle lunghe focali professionali Canon.

 

Una serie di ottiche decentrabili di varia lunghezza focale, da 17mm a  75mm, che utilizzo per foto di architettura e desktop still-life; tutti gli obiettivi illustrati possono calzare su un corpo Canon EOS full-frame, anche grazie ad adattatori, e risulta interessante anche il Pentax 67 shift 75mm f/4,5: la focale medio-tele (sul 24x36mm) risulta favorevole per oggetti e dettagli architettonici, ed il decentramento di ben 20mm consente shift impressionanti.

 

Lo schema ottico del Canon EF 17mm f/4 TS-E L è molto simile a quello del fratello minore 24mm f/3,5 TS-E L mark II, ed entrambi sono stati messi a punto partendo da calcoli e prototipi realizzati da Suguru Inoue e Shigenobu Sugita; il 17mm si avvale di ben 18 lenti in 12 gruppi, delle quali 4 sono in vetro UD tipo Ohara S-FPL51 ed una, la seconda, presenta una superficie asferica sul raggio posteriore, concavo, della lente stessa: questa caratteristica impedisce la consueta lavorazione a controllo numerico e richiede la realizzazione di un glass molding, stampando la superficie asferica nello sbozzo di vetro rammollito a caldo e pressato in una maschera metallica di estrema precisione; la stessa superficie asferica R4 è interessata dal nuovo antiriflessi Canon SWC (Subwavelenght structure coating), basato su microcristallizzazione controllata di fluoruri (in pratica è un rivestimento di microcristalli più piccoli della lunghezza d'onda della luce impiegata) e particolarmente efficace, specie in presenza di sensori che riflettono a specchio luci parassite. Di concezione analoga anche il 24mm TS-E L mark II, con 16 lenti, tre elementi UD e lente asferica frontale con le stesse caratteristiche appena descritte; la ridondanza di lenti UD è giustificata da un superiore controllo dell'aberrazione cromatica, forse il difetto più rilevante del 24mm TS-E L mark I, per il resto obiettivo valido, se ben diaframmato. Notate l'abbondante spazio retrofocale (superiore a 50mm) necessario per consentire i movimenti meccanici di basculaggio; questo conferma il presupposto che si tratta di obiettivi supergrandangolari "ingranditi in scala", in grado di coprire un formato maggiore (ed un angolo decisamente superiore) e poi riassegnati ad un fotogramma molto più piccolo; se riducessimo la lunghezza focale fino a lambire di misura il 24x36mm, lo spazio retrofocale sarebbe di circa 36mm (comunque sufficiente al travel dello specchio reflex) mentre le lunghezze focali sarebbero, rispettivamente, di circa 10,5mm e 15,5mm, con la relativa copertura angolare di circa 128° e 108°.

(optical drawings: Canon Inc., remastered)

 

Anche le due ottiche TS-E di focale maggiore (45mm f/2,8 e 90mm f/2,8) seguono lo stesso principio, sebbene la loro copertura angolare e la relativa capacità di brandeggio siano leggermente inferiori ai più recenti modelli serie L: lo schema del 45mm è analogo a quello di un "28mm" da 76°, mentre quello del 90mm è molto simile a quello di un normale-lungo da 55mm, tipo micro-Nikkor 55mm f/2,8, per intenderci.

(optical drawings: Canon Inc., remastered)

 

Lo schema del Canon EF 14mm f/2,8 mark II e dell'EF 17mm f/4 TS-E L evidenziano le differenze nel tiraggio dei due schemi ottici: quello del 14mm, nato fin dall'origine per coprire di misura il 24x36mm, sfrutta in un'unica soluzione il suo ampio angolo di campo (114°) ed è dimensionato per coprire di misura il 24x36mm sfruttando al massimo l'arretramento retrofocale per avvantaggiarsi nel calcolo.

(optical drawings: Canon Inc., remastered)

 

Gli MTF originali del 17mm f/4 TS-E L (a piena apertura ed f/8, a 10 e 30 cicli/mm di frequenza spaziale, con orientamento sagittale e tangenziale) evidenziano come uno dei principi informatori del progetto vertesse sulla ricerca di una resa il più possibile elevata ai bordi del campo, con astigmatismo contenuto nei limiti fisiologici di un grandangolare così spinto; la consanguineità col 24mm TS-E L mark II è ribadita dall'andamento dei due grafici, con andamento omologo, e caratterizzati da un eccellente rientro della lettura sui bordi ad f/8 per 30 cicli/mm (specie con orientamento sagittale), suggerendo un buon rendimento anche nelle zone esterne alla copertura del formato e chiamate in causa dai movimenti.

(data: Canon Inc.)

Per quanto riguarda la progettazione del 17mm f/4 TS-E L e dell'alter ego 24mm f/3,5 mark II, va detto che per quest'ultimo sono riuscito a trovare il progetto definitivo, perfettamente congruente al modello di produzione, mentre per il 17mm, dopo paziente ricerca, ho messo mano solamente su calcoli molto simili al modello definitivo ma non identici: in pratica fra questi progetti e l'obiettivo di produzione è stato introdotto un ultimo, blando step evolutivo non documentato.

Analizzando i progetti si nota come, per queste versioni supergrandangolari, inizialmente ci si fosse accontentati, per semplificare il calcolo, di una copertura inferiore rispetto ai modelli poi prodotti in serie: infatti, nei progetti preliminari, il diametro del cerchio di copertura effettivo è invariabilmente di 58,4mm, pari ad una capacità di decentramento sulla diagonale stessa di 7,6mm, mentre i modelli di produzione garantiscono un cerchio di copertura da 67,26mm, che consente un decentramento sulla diagonale di 12mm in ogni direzione; possiamo notare questa evoluzione analizzando i dati che ho estratto dai progetti dell'ultimo prototipo di preserie e del modello di produzione relativi al 24mm TS-E L mark II: i due schemi sono molto simili ma il prototipo di preserie, con copertura da 58,4mm, garantisce solamente 100° di campo (come un 18mm sul 24x36mm), mentre il modello finale passa a 67,26mm e 108,38° (come un 15,5mm sull'identico formato).

 

Il prototipo di preserie dal quale è stato evoluto il 24mm mark II di produzione è stato progettato da Shigenobu Sugita, talentuoso matematico della nuova generazione al quale dobbiamo anche il recente ed apprezzato EF 70-300mm f/4-5,6 L IS; il modulo posteriore è già simile a quello definitivo e l'obiettivo presenta la finezza di un doppio flottaggio asolidate, col gruppo L3 che avanza e la lente L2 che arretra con corsa non uniforme, una soluzione di grande complessità meccanica poi sostituita, nel modello di serie, da una "semplice" messa a fuoco posteriore, messa in atto avanzando l'intero modulo di lenti poste dietro il diaframma; anche in questo modello sono presenti le tre lenti UD in vetro Ohara S-FPL51 e due lenti in vetro lanthanum Dense Flint Ohara S-LAH58, con altissima rifrazione (1,883) e bassa dispersione (40,8); la superificie asferica interessa il raggio anteriore della seconda lente (R3) che, essendo convesso, rende più facili le operazioni per ottenere la curvatura parabolica a controllo numerico, come da tradizione Canon. Come nel modello di produzione, il diaframma si muove col gruppo ottico posteriore e lo spazio retrofocale di ben 54,93mm non intralcia i movimenti di brandeggio e garantisce una proiezione più telecentrica. Notate, evidenziate in rosso, l'effettiva copertura di campo ed angolare, inferiore al modello definitivo.

 

La versione definitiva scelta per la produzione, e concepita simultaneamente al modello appena descritto, è stata firmata da Suguru Inoue; l'obiettivo utilizza vetri estremamente moderni (alcuni dei quali non compresi nel mio database) ed utilizza anch'esso 3 lenti UD in vetro Ohara S-FPL51 (come avrete capito, le esternazioni pubblicitarie Canon che rivendicano la paternità diretta sui vetri UD e Super UD utilizzati è pura demagogia); sono presenti tre elementi nel costoso vetro lanthanum Dense Flint già descritto nel modello precedente e la superficie asferica, in questo caso, interessa il raggio interno R2 della lente frontale, una superficie concava che ha richiesto la produzione col metodo glass molding; la stessa superficie è stata poi trattata con rivestimento SWC. A compensare questa orgia di soluzioni dispendiose troviamo un flottaggio semplificato rispetto al prototipo descritto sopra: la messa a fuoco avviene grazie all'avanzamento del modulo posteriore, solidale al diaframma stesso. Come si può evincere dai dati riportati, la copertura angolare e di campo sono decisamente superiori rispetto all'altro embodiment, mentre i diagrammi preliminari relativi alle principali aberrazioni parlano da soli e lasciano presagire le ottime prestazioni che qualsiasi proprietario può confermare.

Nello scorcio di questa prima decade del millennio, Canon ha sostenuto grandi sforzi impostando una serie di progetti ad ampio spettro sul tema dei supergrandangolari evoluti, molti dei quali previsti fin dall'origine per un campo d'immagine allargato e quindi destinati a montature decentrabili; i modelli 17mm f/4 TS-E L e 24mm f/3,5 TS-E L mark II costituiscono quindi solo la punta di un iceberg che ora andremo ad analizzare.

 

Ad esempio, un progetto di Shigenobu Sugita realizzato nel corso del 2007 prevede un 17mm f/4 ed un 20mm f/4 in grado di coprire una diagonale superiore al formato nominale 24x36mm; mentre il 20mm si "accontenta" dei classici 58,4mm comuni ad altri prototipi coevi, il 17mm f/4 arriva già ad una diagonale di 65,28mm (con relativo decentramento sulla diagonale di 11 + 11mm) ed un angolo di campo effettivo di ben 125,8° (per riferimento, sul 24x36 un obiettivo da 12mm copre 122° ed un ipotetico 11mm coprirebbe 126°); se consideriamo che il 17mm TS-E L di serie copre una diagonale ancora superiore (67,26mm contro 65,28mm), i 128° di campo stimati per quest'ultimo sono ben giustificati.
Queste versioni prevedono già 3 lenti in vetro UD ed una superficie asferica ricavata nel raggio posteriore della terza e seconda lente, rispettivamente.

 

Un modello di 17mm f/4 decentrabile che, dal punto di vista ottico, si avvicina di più al modello di serie, è stato brevettato da Shigenobu Sugita nel Febbraio 2009, mentre il modello di serie veniva svelato alla stampa; anche questo modello presenta tre vetri UD della Ohara ed una superficie asferica sul raggio posteriore di una lente frontale (in questo caso la seconda), richiedendo - come nei due prototipi precedenti - il glass molding dell'elemento. Curiosamente, questa versione con schema ottico più simile al definitivo ritorna ad una copertura più ridotta, con una diagonale di 58,4mm per "appena" 118,7° di campo, cioè l'equivalente di un 13mm sul 24x36. Questa versione adotta il doppio flottaggio con movimento asincrono di una lente già visto nel prototipo di 24mm f/3,5 e poi utilizzato anche nel 17mm TS-E L di serie.

 

Un altro curioso prototipo appartenente alla stessa generazione del precedente, e ideato dallo stesso progettista, preconizza un decentrabile da 16,5mm con luminosità ridotta ad f/5,6 e copertura sulla diagonale da 58,4mm, quindi non in grado di garantire i 12mm di decentramento che caratterizzano i modelli di serie; in questo caso la copertura effettiva è di 121,28° e valgono le identiche considerazioni del modello precedente per quanto concerne le lenti UD e la superficie asferica.

 

Infine, lo stesso Sugita aveva progettato, nel corso del 2007, un incredibile zoom supergrandangolare decentrabile, un 20-24mm f/4-4,5 caratterizzato dalla "solita" diagonale utile di 58,4mm, corrispondenti ad un angolo di campo effettivo di 112,6° (a 20mm), 107,4° (a 22mm) e 102,6° (a 24mm); il prototipo adotta uno schema relativamente semplice a 14 lenti (se relazionato ai TS-E L di produzione) e prevede 3 lenti UD, 3 lenti in lanthanum Dense Flint e due superfici asferiche: la prima sul raggio posteriore della seconda lente e la seconda sul raggio posteriore dell'ultima: nel primo caso è nuovamente necessario il glass molding. Si tratta di un concetto interessante che ribadisce la grande vivacità di Canon nel recepire ogni indirizzo e nel creare nicchie di mercato, ma probabilmente la ridotta escursione focale e l'avvertibile distorsione a 24mm hanno convinto il management a soprassedere alla produzione.

 

Dal punto di vista meccanico, i TS-E dell'ultima generazione, come il 17mm f/4, possono vantare notevoli sofisticazioni e caratteristiche volte a rendere l'utilizzo confortevole, permettendo addirittura un facile impiego a mano libera: il diaframma elettromagnetico rimane alla massima apertura anche sotto decentramento/basculaggio, i comandi micrometrici sono dotati di blocchi di sicurezza in ogni posizione e la rotazione sull'asse è indipendente per ogni movimento: tutto è stato fatto per agevolare l'utente, e l'unico limite consiste nel fatto che occorre misurare e memorizzare l'esposizione con movimenti in posizione "zero" perchè, decentrando e/o basculando,  i valori misurati risulterebbero erronei, portando ad esposizioni sbagliate; nel tentativo di ovviare anche a questo piccolo disagio, peraltro comune a tutti i decentrabili di qualsiasi marca, un team di progettisti Canon, nel corso del 2008, ha ipotizzato una montatura decentrabile / basculabile dotata di sensori di posizione per i movimenti, in grado di informare il corpo macchina circa l'effettiva entità del decentramento e/o basculaggio messo in atto: l'apparecchio, basandosi su queste informazioni e grazie ad uno specifico firmware, può così compensare l'esposizione, portando ad esposizioni corrette anche se l'esposizione venisse misurata in tempo reale, con i movimenti applicati... Un'innovazione che sarebbe stata la ciliegina sulla torna dei nuovi TS-E L lanciati nel 2009 e che probabilmente è stata messa in stand-by per l'ovvia necessità di aggiornare anche i corpi macchina relativi.

Dopo questa carrellata tecnica torniamo nel mondo reale e cerchiamo di visualizzare il potenziale ed i limiti dei tre obiettivi Canon caratterizzati dal famoso ambo "17 - 4"; purtroppo il modello FD, per la sua montatura, non può essere messo a confronto diretto con gli altri modelli, e ci limiteremo ad osservare alcune sue immagini singolarmente.

 

Il Canon FD 17mm f/4, contestualizzato nella sua epoca, è un buon obiettivo, senza limiti vistosi: la distorsione non è molto evidente, l'illuminazione periferica è soddisfacente, il contrasto è piacevole e la risolvenza, pur senza picchi entusiasmanti, non presenta particolari mancamenti nelle zone periferiche.

(picture: Marco Cavina 2012)

 

Raccogliendo i miei - ormai lontani - ricordi d'uso del 17mm FD su invertibile di bassa sensibilità, l'impressione più evidente riguardava la buona saturazione del colore che forniva immagini piene ed appaganti e consentiva di chiudere un occhio sulla risoluzione non troppo elevata; va sempre ricordato che, ormai, siamo assuefatti a grandangolari spinti di alta qualità ma non dobbiamo dimenticare l'effetto dirompente che un ottica simile poteva avere nel 1970. Un altra caratteristica che salta agli occhi è l'impressione di tutto a fuoco uniforme nei vari piani, ancora superiore a quanto ci si possa aspettare da una simile focale, che contribuisce alla creazione di immagini dall'impronta un po' metafisica.

(picture: Marco Cavina 2012)

 

Il vero problema del Canon FD 17mm f/4 sta nell'aberrazione cromatica: nonostante il tanto strombazzato doppietto posteriore con vetri speciali, i fringings sono davvero evidenti (vedi immagine sopra e relativo crop ingrandito); come riferimento, l'entità di correzione digitale richiesta è del 70% superiore a quella necessaria sull'EF 17-40mm f/4 L a 17mm, un contesto che già produce fringings abbastanza vistosi; notate anche nell'immagine intera l'andamento "moustache" della distorsione, a barilotto nelle zone centrali e sovracorretta verso il cuscinetto in quelle periferiche.

(picture: Marco Cavina 2012)

Per quanto concerne il Canon EF 17mm f/4 TS-E L, l'ampio angolo di campo coniugato con vignettatura ridotta, distorsione quasi inavvertibile, alta resa ai bordi ed ampie possibilità di decentramento consentono al fotografo ampie libertà di espressione, sebbene nella ripresa di architettura, quando non si possa usufruire di una visualizzazione frontale, le fughe prospettiche sotto forte decentramento diventano vistose e sgradevoli; vediamo alcune immagini d'esempio, realizzate a Predappio (FC).

 

L'obiettivo presenta elevata risoluzione e contrasto ed il degrado nelle zone interessate da forte decentramento è modesto e decisamente accettabile, considerando l'angolo di campo in gioco; probabili trattamenti polarizzanti all'antiriflessi della lente anteriore forniscono immagini sature e non fanno rimpiangere l'impossibilità di utilizzare un polarizzatore.

(pictures [4]: Marco Cavina 2012)

Per spremere ulteriormente le possibilità concesse dal 17mm TS-E L ho provato ad effettuare la ripresa frontale di grandi palazzi neoclassici del centro storico, scattando in verticale con massimo decentramento verso l'alto (12mm) ed eseguendo 11 scatti sequenziali, a mano libera, camminando sul marciapiedi di fronte e scattando ad intervalli regolari, con adeguato overlap; successivamente ho montato manualmente i fotogrammi in un'immagine singola da circa 17.000 pixel, e questo è il risultato; ricordo che si tratta di edifici (costruiti nello stesso anno e disegnati dallo stesso architetto) con un fronte di circa 37 metri, fotografati a livello del suolo da una distanza di circa 6,5 metri.

 

 

Questi risultati sono possibili anche grazie alla possibilità di scattare a mano libera in simili condizioni, sfruttando il diaframma automatico anche sotto forte decentramento.

 

Quest'immagine (soggetto: i vecchi stabilimenti aeronautici Caproni fra Predappio e Predappio Alta) esemplifica il classico flare prodotto dell'EF 17mm f/4 TS-E L quando la lente anteriore è colpita da luce solare diretta con inclinazione sfavorevole; la serie di riflessi è comunque netta e circoscritta ed è facile schermarla con la mano; in questo caso lo scatto è stato eseguito tenendo l'apparecchio sopra la testa, con obiettivo completamente decentrato verso l'alto ed infilato fra le maglie di una recinzione metallica, inquadrando in live view dalla distanza, ed il riflesso non era quindi percettibile.

(picture: Marco Cavina 2012)

Per chiudere il bellezza ho provveduto a testare velocemente l'EF 17mm f/4 TS-E L con l'EF 17-40mm f/4 L a 17mm, con identico soggetto e nelle stesse condizioni di esercizio, per visualizzare il rendimento caratteristico delle due ottiche a parità di angolo di campo ed apertura; ecco i risultati.

Questo edificio è stato fotografato su cavalletto in vista frontale, con  piano focale parallelo alla facciata, usando le due ottiche su Canon EOS 5D mark II in RAW a 14 bit e 100 ISO, utilizzando gli obiettivi ad f/4 - f/5,6 - f/8 - f/11 ed esponendo in manuale con l'inserimento di coppie tempo/diaframma equipollenti; ovviamente il 17mm TS-E L era con brandeggi in posizione zero. Le immagini ricavate sono state aperte in Adobe Camera RAW 6.x e senza alcune variazione rispetto ai dati di default, utilizzando identici settaggi di temperatura colore e tonalità, e poi lanciate in Adobe Photoshop CS5 senza alcuna modifica e senza applicare sharpening in alcun punto della catena; da ogni immagine ho ricavato crops al 100% da 330 x 500 pixel relativi a tre zone del campo: centrale (a), mediana (b) e periferica (c), e per ogni diaframma d'uso verranno visualizzate le zone a + b + c dei due obiettivi.

 

f/4

 

f/5,6

 

f/8

 

f/11


Alcune considerazioni preliminari: il Canon EF 17-40mm f/4 L venne progettato per l'impiego prevalente su fotocamere digitali, ponendo attenzione a garantire una proiezione il più possibile telecentrica ma considerando anche il fatto che, al momento del calcolo, i sensori dei corrispondenti apparecchi non coprivano ancora il full-frame 24x36mm, quindi l'ottica è stata ottimizzata fino a circa 2/3 della diagonale utile (corrispondenti alla copertura del formato APS-C), sacrificando un po' il resto del campo, che sulle digitali di allora non sarebbe stato sfruttato; da questo deriva il noto comportamento caratteristico di quest'obiettivo, molto brillante e contrastato sull'asse fin da piena apertura ma non eccezionale ai bordi, se non con forte chiusura del diaframma, condizione in cui il centro ha già perso risoluzione per diffrazione; viceversa, il 17mm f/4 TS-E L ha una copertura esuberante rispetto al 24x36mm e le zone più critiche, in assenza di movimenti, restano confinate fuori dal campo inquadrato. Dalle immagini ho anche notato che il decentrabile, a parità di regolazioni dal RAW di temperatura colore e tonalità, presenta una dominante rossiccia assente nello zoom, che ha colori più verosimili; questa caratteristica è probabilmente dovuta al gran numero di lenti ed all'assortimento di vetri esotici impiegati nel 17mm f/4, magari caratterizzati da un proprio cast cromatico dovuto ai componenti miscelati che non è stato possibile annullare reciprocamente nella realizzazione dello schema ottico. Va anche annotato che lo zoom 17-40mm f/4 L è tropicalizzato ed equipaggiato con guarnizioni in gomma siliconica contro pioggia e polvere, mentre il TS-E L, a causa dei complessi movimenti consentiti, non presenta tale caratteristica; non ci sono comunque problemi di "breathing" che depositino polvere fra le lenti, dal momento che, come detto, la distanza viene regolata con un di flottaggi interi, in cui i moduli di lenti L8-L9 ed L10-L18 si muovono all'interno di un ampio cannotto senza aspirare aria dall'esterno.

Per quanto concerne la resa sul campo, ad f/4 il 17mm f/4 TS-E L non presenta sull'asse (zona a) una risoluzione straordinaria (prevedibile, considerando l'ampia copertura effettiva) mentre lo zoom, il cui asse è notoriamente ottimo ai diaframmi aperti riesce ad eguagliarne le prestazioni; tutt'altro discorso sul campo e ai bordi: il fisso presenta una risoluzione incredibilmente uniforme in ogni zona ed un'illuminazione del campo molto buona, mentre lo zoom, già nella zona mediana (b) risulta meno calligrafico ed ai bordi è decisamente più impastato da astigmatismo ed aberrazione cromatica laterale, oltre a presentare una vignettatura più vistosa; ad f/5,6 il fisso presenta già un leggero flesso sull'asse, pur molto buono, ed in questa ristretta zona lo zoom prevale leggermente, ma la sua riproduzione sul campo è praticamente perfetta ed omogenea, senza vistose aberrazioni o vignettatura, mentre lo zoom, pur migliorando rispetto a piena apertura, rimane vistosamente più morbido ed aberrato, una condizione che si ripete anche ad f/8, dove lo zoom prevale nel ristretto spot dell'asse ma non riesce assolutamente ad avvicinare la focale fissa nelle altre zone del campo, dove quest'ultima ha una riproduzione assolutamente pulita e priva di fringing; solamente ad f/11, dove per entrambi l'asse ha un flesso di brillantezza per diffrazione, lo zoom riesce quasi a replicare il rendimento del TS-E L nelle zone mediane e periferiche, senza tuttavia replicarne la pulizia e l'assenza di fringings.

 

Vignettatura a confronto: ad f/4 anche il fisso presenta un certo calo di luminosità ai bordi, seppure meno vistosa rispetto allo zoom, mentre già ad f/5,6 la sua distribuzione è eccezionalmente uniforme e consente di affrontare compiti critici, al contrario del 17-40mm f/4 L che soffre ancora di un visibile oscuramento ai bordi; naturalmente la vignettatura si può correggere in digitale, ma gli algoritmi che intervengono selettivamente ai bordi possono dare luogo, nella successiva post-produzione, a vistosi ed inaccettabili bandings  (ad esempio, se si abbassano selettivamente le alte luci, compreso il cielo, caratterizzato da sfumature sottili e stepless); ben venga quindi un obiettivo che renda inutile tale intervento.

In senso generale, il 17-40mm f/4 L presenta nell'uso pratico immagini piacevoli, con contrasto elevato, colori saturi ed ottimo controllo del flare, ed in molte condizioni le aberrazioni residue ai bordi non infastidiscono ma il 17mm f/4 TS-E L è il primo supergrandangolare da 104° realmente concepito per riproduzioni tecniche con esigenze severe di risoluzione su tutto il campo e necessità di correzione critica per distorsione, aberrazione cromatica e vignettatura: non un obiettivo per immagini pittoriche, figurative, ma uno strumento tecnico appannaggio principale di architetti e di chiunque abbia bisogno di una esatta riproduzione geometrica di ampi spazi in contesti angusti. La distorsione del 17mm TS-E L è quasi inavvertibile (intorno all'1% a barilotto), la vignettatura contenuta anche a piena apertura, l'aberrazione cromatica e l'astigmatismo ottimamente corretti e la risoluzione fino ai bordi - in assenza di brandeggi - è più che buona; le immagini che produce sono sature e pulite e rispetto all'antenato FD del 1970 la differenza di rendimento fuori asse è evidentissima; unico appunto, oltre al peso, la costo e alla necessità di focheggiare manualmente, la presenza di flare con certe angolazioni della luce solare: il 17mm TS-E, dovendo coprire ben 128° di campo effettivo, non ha alcuna palpebra protettiva per la lente anteriore ed in certe condizioni produce una sottile e netta lama di luce all'interno dell'immagine, ma basta schermare con una mano la lente anteriore per risolvere il problema; viceversa, in contesti standard, la profondità dei neri ed il contrasto sono ottimi per un grandangolare così complesso, con tante lenti ed una copertura esuberante che proietta luce sul bordo interno della montatura posteriore: a tale proposito, nel cannotto posteriore che si affaccia sul bocchettone della fotocamera, è presente un pad di antiriflessi  fioccoso ed estremamente efficace che assorbe la luce proiettata dall'ampio cerchio di copertura di 67mm.

MARCOMETER

17 - 4: un marchio di fabbrica del corredo Canon che ha cavalcato l'onda di varie generazioni, aggiungendo via via caratteristiche qualificanti: se l'FD del 1970 vantava già un flottaggio alle brevi distanze, lo zoom EF 17-40mm f/4 L del 2001 consentiva di spaziare dal supergrandangolare da 104° fin quasi al normale, garantendo straordinaria versatilità nelle passeggiate in montagna e nelle foto d'ambiente; infine, l'EF 17mm f/4 TS-E L del 2009, seppure a caro prezzo, fornisce prestazioni senza compromessi su un angolo così ampio con l'aggiunta di abbondanti movimenti di decentramento e basculaggio che ne fanno un'arma quasi letale per immagini d'architettura "difficili" e ricerca creativa.

Come considerazione di fondo, dobbiamo annotare che, dopo 60 anni di evoluzione, i super-grandangolari retrofocus hanno finalmente raggiunto l'elevata resa ai bordi che caratterizzava i simmetrici, risolvendo anche il tipico problema di questi ultimi, la vistosa vignettatura, fornendo nel contempo la proiezione telecentrica assolutamente necessaria per i moderni sensori di grandi dimensioni. Ed ora cominciamo veramente a divertirci...

(Marco Cavina)

(testi, foto, attrezzature e grafiche di Marco Cavina, dove non altrimenti indicato)

 




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