LEITZ  SUMMITAR  STAR - LEITZ  SUMMICRON  50mm  f/2:

IL PASSAGGIO  DAI VETRI  RADIOATTIVI  AL  TORIO  A

QUELLI  AL  LANTANIO


E' noto che agli albori e nel periodo adolescenziale dell'ottica fotografica, per ottenere vetri con alta
rifrazione e ridotta dispersione, si adottavano miscele contenenti ossido di torio in quantità, un materiale
radioattivo colpevole dell'ingiallimento delle lenti sul medio termine e di tante fobie fra gli utenti; in particolare,
la Kodak di Rochester - nel periodo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale - finanziò studi serrati sui
vetri ottici, sia nel settore dei "fluor-krown acid glass" (vetri a bassissima dispersione), come testimonia
il magistrale lavoro di Kuan-Han Sun del 1944, sia nel campo dei vetri ad alta rifrazione, senza farsi scrupolo
di utilizzare additivi decisamente radioattivi come il tetrafluoruro di uranio o, appunto, l'ossido di torio; questi
studi posero la Kodak in una posizione di preminenza nel dopoguerra, visto che già nel 1955 i suoi progettisti
potevano contare su vetri pazzeschi come il tipo 880411, con indice di rifrazione altissimo (1,8804) abbinato
ad una dispersione decisamente ridotta (numero di Abbe 41,1): erano materiali avanzatissimi che avevano
creato un trend, e le altre vetrerie dovettero adeguarsi alle regole di mercato, mettendo a loro volta a catalogo
vetri ad alta rifrazione basati sull'impiego di ossido di torio.

Il quel periodo alla Leitz di Wetzlar stavano organizzandosi e fra i piani aziendali c'era la realizzazione di una
vetreria interna, destinata a diventare la fucina dei nuovi e particolarissimi vetri ottici che sarebbero poi stati
un vanto della casa; uno dei primi obiettivi del neonato atelier verteva proprio sulla realizzazione di vetri
con pregevoli caratteristiche di alta rifrazione e bassa dispersione e formulati senza il ricorso a materiali
radioattivi e potenzialmente pericolosi come il torio; ricerche sistematiche misero in evidenza che il lantanio,
un'altra terra rara presente nello stesso materiale d'origine del torio, la Monazite, garantiva gli stessi effetti
nell'impasto vetroso col vantaggio dell'assenza di radioattività; il primo vetro di questa nuova famiglia fu
dunque progettato dalla Leitz e poi ceduto alle altre vetrerie, la Schott in primis, per la produzione di massa,
per la quale a Wetzlar non erano attrezzati, e passò alla storia come LaK9.

Nel frattempo il dipartimento matematico di calcolo ottico stava studiando un'evoluzione del valido ma
ormai stagionato Summitar 50mm f/2 SOORE, classe 1939, e durante tutto il 1949 il Dr. Gustav Kleinberg,
coadiuvato dal Dr. Otto Zimmermann, lavorò sul suo schema, migliorando lo stato di correzione sul
campo, minimizzando l'aberrazione sferica sia spaziando ad aria il caratteristico doppietto anteriore di
ampio diametro, sia adottando per i quattro elementi convergenti un vetro ottico ad alta rifrazione, superiore
ad 1,65, e dispersione ridotta (numero di Abbe superiore a 50); vetri con queste caratteristiche all'epoca
contenevano ossido di torio ed i progettisti ne erano bene al corrente: infatti, nel loro progetto intermedio
completato nel gennaio 1950 e che avrebbe portato ai prototipi Summitar * , fu addirittura prevista l'ipotesi
di adottare un vetro piano-parallelo supplementare posteriore, posto fra l'ultima lente e la pellicola, per
schermare le radiazioni emesse da questi vetri ed impedire che il film fosse velato nel caso di una lunga
permanenza nell'apparecchio ! Dal momento che l'applicazione del vetro di campo era tecnicamente
complessa, fu prevista anche l'opzione alternativa che prevedeva l'adozione di un vetro flint al piombo
per l'ultima lente dell'obiettivo, affidando all'ossido di piombo la schermatura dalle radiazioni...

Purtroppo per ragioni ottiche l'ultima lente doveva essere realizzata proprio col vetro al torio 691548, e
non sarebbe stato possibile proteggere la pellicola in alcun modo.

 

lo schema tratto dal progetto originale di Kleiberg e Zimmermann, presentato nel Gennaio 1950, presenta
uno schema intermedio fra il Summitar del 1939 ed il Summicron del 1953, ed adotta quattro lenti in vetro
all'ossido di torio, per cui era addirittura previsto uno schermo in vetro (possibilmente flint all'ossido di piombo)
per fermare le radiazioni ed impedire che velassero la pellicola... Lo schema presenta già lo sdoppiamento del
menisco anteriore, con la creazione di una lente ad aria per correggere l'aberrazione sferica di ordine superiore,
mentre il secondo doppietto (spaziato anch'esso ad aria nel Summicron del 1953) è ancora collato: infatti questa
modifica non si rendeva necessaria per conseguire la correzione desiderata, e fu poi adottata per le ragioni
che vedremo....

 

un estratto del progetto originale nel quale l'adozione dei vetri all'ossido di torio è palesata in bella
evidenza con la relativa descrizione dei potenziali rimedi contro la velatura dell'emulsione!


Allo stato attuale delle ricostruzioni storiche, si è sempre creduto che i rari prototipi Summitar * (star) prodotti
nel 1951 fossero a tutti gli effetti otticamente identici al successivo Summicron del 1953, del quale costituivano
delle pre-serie valutative: viceversa, questi obiettivi adottarono lo schema intermedio presente nel progetto appena
discusso, tuttavia restava irrisolto il problema dei vetri al torio radioattivi che non era stato possibile schermare
nè con un  vetro piano-parallelo posteriore nè con l'adozione della settima lente in vetro lead-flint.

Nel frattempo alla vetreria di Wetzlar era stato realizzato il già citato vetro LaK9 all'ossido di lantanio, dotato di
ottime caratteristiche ottiche, perfettamente sovrapponibili a quelle del precedente vetro al torio (indice di rifrazione
nD= 1,694 - numero di Abbe 54,7) ma privo di elementi radioattivi; i progettisti misero rapidamente mano allo
schema del Summitar "intermedio", eliminando i vetri rifrattivi precedenti e sostituendoli col tipo LaK9; forse alla
ricerca di una certa economia in scala (il vetro al lantanio era all'epoca molto costoso), si decise di sostituire l'ultima
lente dell'obiettivo con un vetro più convenzionale, il tipo BaF10, più economico e dotato di un indice di rifrazione
di poco inferiore e pari ad 1,6734; dal momento che un po' tutti i vetri furono rivisti, la correzione finale delle
aberrazioni richiese la spaziatura ad aria anche del secondo doppietto anteriore, portando quindi a sei i gruppi di
lenti spaziati a aria contro i quattro del Summitar originale ed i cinque dell'evoluzione intermedia star, tuttavia
l'adozione dei trattamenti antiriflessi evitava problemi di sorta: era nato il primo Summicron, lanciato nel 1953 e
destinato ad un immediato successo mondiale, decano di una dinastia leggendaria la cui fama è solida ancora
ai giorni nostri.

La presenza di alcuni Summicron della prima ora (matricola a cavallo del milione) con lente anteriore ingiallita dalla
radioattività non costituisce una contraddizione: all'epoca la complessa metodologia per raffinare il lantanio da altri
elementi con cui era legato, come ittrio, cerio e torio (contenuto nella Monazite originale come ossido di torio in quantità
pari al 12%), non era assolutamente affidabile e certe partite di terre rare inviate alle vetrerie ne erano contaminate; la
lente frontale del Summicron era proprio in LaK9 e certi esemplari presentano questa caratteristica.

 

    

i vetri utilizzati nel Summitar evoluto e nel Summicron definitivo: nel primo sono presenti quattro elementi in vetro
ad alta rifrazione/bassa dispersione contenenti torio (nD= 1,69112   vD= 54,8), ovvero il primo, in terzo, il
sesto ed il settimo, mentre nel Summicron definitivo i primi tre sono stati sostituiti dall'equipollente thorium-free
LaK9 e l'ultimo con un più economico BaF10

credits: Summicron drawing Leica Camera

 



Il celebre vetro LaK9 è tuttora presente nei cataloghi Schott, con la nuova definizione
N-LaK9 e modifiche minime all'indice di rifrazione (1,6910 anzichè 1,6940)

 


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