FOTOGRAFIA  CON  LEICA  A  VITE:

IL  PROFUMO  DEL  TEMPO  E  DEI  RICORDI

___________________________________________________

 

Ai tempi che corrono, dove il digitale si afferma a spron battuto ed anche nell'analogico
gli apparecchi sono ormai perfezionati, pratici nell'uso, veloci ed infallibili, accanirsi a
riesumare in servizio un tubo da acqua imbutito con un oblò filettato e poco altro può
sembrare una sorta di feticismo, se non perversione vera e propria... naturalmente una
Leica a vite è molto più di quanto appaia ad una spietata descrizione formale: ha tutto
quello che serve per ottenere buone fotografie, come un otturatore praticamente eterno,
silenzioso, non afflitto da vibrazioni e dotato di una gamma di tempi dalla scalatura
intelligentemente ridondante nel settore al limite del mosso, per sfruttare fino in fondo
la proverbiale rocciosità allo scatto; ha un telemetro certo un po' scomodo, non
accoppiato alla visione ma dotato di mirino separato  e ben lungi dall'essere chiaro e
contrastato come nei moderni modelli M, tuttavia esso consente una precisa messa a
fuoco; l'obiettivo a vite, col pulsante di blocco su infinito e l'aspetto vetusto, connotato
da cannotti cromati e collassabili, a prima vista suscita tenerezza ma il nome Elmar è
parte integrante della storia della fotografia di reportage e costume ed ha scritto pagine
memorabili in mano ai più grandi fotografi del secolo passato; manca l'esposimetro, ma
nel gioco delle parti di chi si cimenta con Leica a vite ci può stare: la regola del 16, un
esposimetro manuale riesumato dai cassetti, l'occhio frutto dell'esperienza sono più
che sufficienti col materiale d'elezione ad essa destinato, un negativo bianconero.

All'atto pratico, i figli tecnologici della generazione D (come digitale) cosa possono
aspettarsi da questa piccola fotocamera, che con gli standard attuali pare un reperto
archeologico di epoche passate? allego uno scatto che ho eseguito con la mia Leica
IIIF Black Dial del 1951, adottando l'ultima incarnazione dell'Elmar, il 50mm f/2,8
di fine anni '50 (scelta obbligata perchè il mio esemplare di Elmar 50/3,5 del 1950 richiede
una calibratura ai filetti di messa a fuoco), già realizzato con vetri Krown al Lantanio,
una primizia per l'epoca, avvalendomi del mirino multifocale esterno VIOOH; questa
scelta è legata alla difficoltà di inquadrare con gli occhiali sfruttando il mirino da 50mm
incorporato nell'apparecchio, servito da una minuscola finestrella; inoltre ho notato che
la copertura è approssimata per difetto in modo marcato, mentre col VIOOH le cornici
flottanti che restringono l'inquadratura possono essere regolate senza soluzione di continuità,
e con qualche scatto di prova è possibile trovare una corrispondenza perfetta; pronti a
respirare il profumo del passato?

 



Ho eseguito questo scatto con la Leica IIIF del 1951 dotata di Elmar 50/2,8 e mirino VIOOH illustrata a seguire;
quest'immagine incarna bene il tipico fingerprint dell'Elmar in dotazione alla leica a vite, caratterizzato da una
risoluzione non elevatissima (con standard attuali) ma da un accentuato  macrocontrasto, com'è lecito attendersi
da un clone del Tessar; questa propensione "grafica" dell'obiettivo richiama nell'immaginario molte immagini del '900
realizzate con questa generazione di obiettivi, caratterizzate proprio da questo vigore; la pellicola utilizzata è una
Kodak TRI-X, per rafforzare con la grana visibile l'impressione di "foto d'antàn" ed ho chiuso il diaframma ad f/11,
classico trucchetto per compensare eventuali sfocature del soggetto in rapido movimento (stava correndo): infatti,
come anticipato, mirino e telemetro sono separati ed occorre prima accostare l'occhio per al messa a fuoco e poi
spostarlo sulla finestrella accanto per l'inquadratura (nel mio caso addirittura al mirino esterno), e non sono possibili
correzioni "al volo"; l'esposizione è stata determinata con la regola del 16; ma vale la pena una simile, scomoda procedura
per un'immagine così banale....?

 



.....ed entrano in campo i fattori non razionali: ecco l'apparecchio utilizzato per lo scatto e
guarnito allo stesso modo: un magnifico capolavoro di meccanica fine la cui complessa
messa in opera, fra nottolini e ghiere dal movimento preciso e pastoso è una vera libidine
per l'appassionato!





questo dettaglio non ammette replica: la metodica e cosciente interfaccia utente richiesta richiama
antici sapori e rimanda dritti alle origini della fotografia; questa Leica fu acquistata nel 1994 da un
mio "pusher" che l'aveva a sua volta presa all'annuale mercatino Leica di Wetzlar, quindi le sue
origini solo le più ortodosse possibili !!! Mi piacque anche per il suo numero di matricola, 604.911
(i classici feticismi da Leicatime....), dal momento che all'epoca una 911-930 era proprio la mia auto.
La prima tendina dell'otturatore si era fessurata (il riporto gommato era secco) e fu ripristinata
utilizzando una finissima seta dalle origini curiose: infatti un amico riparatore aveva rilevato dalla
Pignons SA svizzera, la madre delle celeberrime fotocamere Alpa, un rotolo di materiale che la
Casa utilizzava per gli otturatori delle rinomate fotocamere-orologio (la Pignons produceva orologi,
e certe pernerie degli apparecchi fotografici Alpa ruotavano su rubini !!!) ed utilizzò proprio questa
seta gommata per ripristinare la prima tendina, calibrando contestualmente i tempi di otturazione;
a tale riguardo, notare l'abbondante disponibilità nel range al limite del mosso: 1/8 - 1/10 - 1/15 -
1/20 - 1/30 - 1/40 - 1/60 di secondo: in pratica con mano ferma si poteva recuperare qualcosa
sulla chiusura del diaframma, procedura sempre benvenuta su progetti ottici così vetusti.

 




L'Elmar 50/2,8 a vite completa la classica estetica Leica a vite, icona di un secolo; in posizione collassata
rende la IIIF tascabile come le più moderne compatte e consente ancora oggi prestazioni di tutto rispetto,
grazie anche al trattamento antiriflessi; notare il diaframma a 16 (!) lamelle, virtualmente circolare; la prima
e la quarta lente del suo schema tipo Tessar sono realizzate in vetro LAK9, caratterizzato da una rifrazione
di 1,69100 e da una dispersione contenuta (numero di Abbe 54,71): era un vetro molto moderno, concepito
nelle vetrerie Leitz di Wetzlar e poi dato in concessione alla Schott per la produzione di massa, nato per
 ottenere un buon compromesso fra rifrazione e spettro secondario senza utilizzare elementi radioattivi
 come il torio; è tuttora presente nel catalogo Schott und Genoessen come N-LAK9 - 691547

 




Il classico schema tipo Tessar dell'Elmar 50/2,8 di fine anni '50 rappresenta uno step evolutivo verso
le moderne versioni, caratterizzate dalla lente frontale realizzata con vetri dotati di indice di rifrazione
superiore ad 1,8; in questo caso si era passati dai vetri short-Krown SK-7 ed SK-15 dell'Elmar
50/3,5 originale (caratterizzati da un modesto indice di rifrazione pari a 1,6097 - 1,6255)
ai nuovi vetri LAK9 al Lantanio che sfioravano il valore di 1,7, consentendo anche una resa migliore.

 




gli MTF originali dell'Elmar 50mm f/2,8 utilizzato per la foto di apertura confermano il rendimento
classico dei tipo-Tessar non recentissimi: a diaframma chiuso l'asse resta indietro per spostamento
di fuoco e mentre il trasferimento di contrasto a 40 cicli/mm è senza infamia e senza lode, alle basse
frequenze spaziali (ad esempio 10 cicli/mm) è molto elevato ed uniforme, indice di un marcato
macrocontrasto a discapito della risoluzione pura; sappiamo che questo comportamento caratteristico
viene privilegiato dalla percezione soggettiva rispetto ad un rendimento antitetico, e questo è parte
integrante del grande successo arriso all'Elmar ed al tipo Tessar in generale

(riproduzioni dell'apparecchio eseguite con Canon EOS-350D
 e Zeiss S-Planar Contax 60mm f/2,8 1:1 Germany ad f/11)

___________________________________________________

CONTATTO            ARTICOLI  TECNICI  FOTOGRAFICI