LO  SCRIPTORIUM  DI  PIERPAOLO  GHISETTI

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ISOLE SVALBARD - FORSE C'E' UN PERCHE'

UN RACCONTO INTIMISTICO

 

Pierpaolo Ghisetti

(05/10/2020)

(testi e foto di Pierpaolo Ghisetti)

 

 

Nel 1961, quando avevo appena 11 anni, in una Catania resa gelida dallo sferzante vento dell’Etna innevata, mio padre, di ritorno dalla Messa domenicale, si fermò all’edicola e mi regalò il numero appena uscito della Domenica del Corriere.

In copertina un enorme dirigibile, magistralmente raffigurato da Walter Molino, si stava schiantando sul pack del Polo Nord: era il dramma dell’Italia e l’inizio dell’odissea della Tenda Rossa!

 

 

Ne fui immediatamente rapito ed affascinato: tutto mi pareva inverosimile e lontano come Marte. L’avventura dell’esplorazione sui ghiacci mi colpì come una frustata: il mezzo ormai desueto e tuttavia gigantesco rimandava ad epoche lontane, mentre il mistero degli spazi artici entrava per la prima volta nel mio orizzonte geografico. All’interno vi era un palpitante articolo, ricco di foto d’epoca, del giornalista e testimone oculare dei fatti, Cesco Tommaselli. Visto il mio interesse, i miei nonni contribuirono donandomi il libro L’inferno Bianco, sempre di Cesco Tommaselli (che non è solo il nome di una ferrata dolomitica, ma anche l’allora reporter del Corriere della Sera imbarcato sulla nave appoggio Città di Milano), nell’edizione del 1929 che già possedevano. Questa iniziazione polare fu temporaneamente completata da una edizione del 1928 della Tenda Rossa, libro tra l’altro dotato di una affascinante ed indimenticabile copertina, molto evocativa.

 

 

Negli anni successivi aggiunsi alla mia biblioteca anche  Ritorno al Polo Nord  (con il magico pilone in copertina), memorie del radiotelegrafista della spedizione, Giuseppe Biagi, che ebbi la fortuna di vedere da ragazzo in televisione, quando gestiva una pompa di benzina sull’Aurelia: ricordo ancora lo sconcerto nel verificare che uno degli eroi della drammatica odissea sembrava un uomo del tutto normale, bonario, dimenticato dal pubblico del dopoguerra e con un lavoro non certo all’altezza di un eroe polare! Come avrei voluto conoscerlo e parlare con lui del pericoloso orso bianco che poi fu ucciso con una rivoltella Colt! Altro che Tex, quella era realtà, superiore alla più fantasiosa immaginazione salgariana!

 

 

Nel 1968 un articolo su Storia Illustrata, rivista all’epoca molto seguita, riprese alcuni estratti dalla Tenda Rossa di Nobile, che riaccese la mia curiosità per l’impresa polare; il mio entusiasmo raggiunse il massimo quando trovai su una bancarella una copia autografata del libro del generale Nobile Posso dire la verità.

Inutile dire che tutti questi volumi sono rimasti nella mia biblioteca, custoditi gelosamente.

Tuttavia, malgrado il mio vorace interesse, negli anni Settanta sia il polo Nord che il polo Sud erano praticamente irraggiungibili, perciò mi dedicai a viaggi lontani ma possibili, tra Africa, Americhe e civiltà asiatiche.

Ma il fuoco del Polo covava…

Finalmente nel 2002, dopo un paio di rinvii, mi imbarcai su un rompighiaccio russo per le Isole Svalbard, la terra più vicina al Polo Nord.

Isole spoglie, selvagge, di terra nera solcata da ghiacciai immensi, che ridicolizzavano quelli delle Alpi, che avevo imparato a conoscere. Isole che non regalavano niente, una natura assoluta, senza compromessi.

Un giorno, in località NyAlesund (all’interno della Baia del Re), arrivammo davanti ad un curioso pilone che non faticai a riconoscere: era proprio quello che appare nelle foto del 1928 e che servì ad ormeggiare il dirigibile Italia!

 

 

L’emozione fu fortissima e, come in un istantaneo flashback cinematografico, mi passarono davanti agli occhi i libri letti avidamente, le fotografie imparate a memoria e la magica copertina della Domenica del Corriere, da cui tutto era iniziato.

Era solo un pilone di ferro arrugginito dalle nebbie polari, ma per me aveva idealmente rappresentato il luogo dove ci si staccava dalle avventure terresti per immergersi in una realtà quasi extraplanetaria.

Il mare da noi solcato a bordo del rompighiaccio Professor Molchanov, non era più quello di Barents, come ebbe a precisarmi il capitano, ma il Mare Glaciale Artico: un insieme di acqua e giaccio, talvolta solo di questo, tagliato da alcuni canali, entro i quali si incuneava la nave, e da dove potemmo osservare, almeno un paio di volte, i temibili orsi bianchi, sempre a loro agio, sia in acqua che sul pack. Lontano dalle isole esistevano solo due colori: il grigio del mare e del cielo e il bianco dei ghiacci: la navigazione appariva del tutto incongrua in quella immensità che replicava sé stessa all’infinito. Talvolta la prua della nave, urtando contro la banchisa, disturbava i giganteschi trichechi distesi in superficie a riposarsi, mentre il ghiaccio frantumato si tingeva di azzurro.

Nel frattempo il Pilone del dirigibile aveva innescato in me un procedimento mentale ormai impossibile da fermare.

Negli anni a seguire sono tornato ai Poli almeno una decina di volte, provando sempre quel senso di libertà dello spirito, lontano da cose superflue e materiali, e sperimentando la consapevolezza che in quei luoghi la legge umana cede a quella molto più potente della natura, quando la solitudine immensa ti fa restare solo con te stesso. Anche negli immensi spazi dei deserti avevo provato queste sensazioni, ma ai Poli si aggiunge il fascino della mancanza della luce solare, che accentua l’impressione di trovarsi su un altro pianeta.

Il viaggio alle isole Svalbard mi ha regalato le stesse profonde emozioni di quello alle Galapagos nel 1982: meraviglia, desiderio di conoscenza, voglia di allargare gli orizzonti. Ma se le Galapagos mi avevano mostrato l’incredibile varietà del mondo animale e vegetale, le Svalbard mi mostrarono il lato opposto del nostro pianeta, il che non rappresentava un minus, bensì una delle caratteristiche della Terra, ovvero l’enorme concentrazione di vita in periodi brevissimi e la totale desolazione per il resto dell’anno. Da una parte il super affollamento equatoriale, dall’altra la solitudine dei Circoli Polari.

 

Per anni mi sono rimaste alcune domande irrisolte e per anni ho avuto il pudore di non parlarne con nessuno, tanto la cosa mi turbava.

Ma una domanda mi circola ancora in testa: se mio padre, quella domenica del 15 gennaio 1961, dopo la Messa a Santa Maria del Gesù, a Catania, non si fosse fermato all’edicola di piazza Lanza e non mi avesse regalato quel giornale, la mia vita sarebbe stata la stessa?

Un atto così banale ed automatico, come comprare un giornale illustrato, può veramente influire su una vita?

Nei mille bivi dell’esistenza che ci troviamo davanti quotidianamente alcuni, anche se apparentemente banali, sembrano pesare più di altri, e forse occorre scavare nel nostro ricordo più lontano per capire che, in fondo, anche nella grande casualità della vita, forse c’è un perché!

 

Tutte le foto eseguite con Hasselblad SWC e 503CX, con i soliti obiettivi Zeiss 38/4,5, 60/3,5 e 100/3,5.

 

 

 

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