OBIETTIVI  WIDE  SU  LEICA  A  TELEMETRO:

A) RUSSAR-MR2  20/5,6  -  ORION-15 28/6  -  JUPITER-12 35/2,8:

STORIA, ORIGINI, DATI INEDITI  E  PROVE  SUL CAMPO  SUI  TRE

FAMOSI  OBIETTIVI  SOVIETICI  IN  ATTACCO  LTM;

B)  90°  SU  LEICA M:  DIECI  OBIETTIVI  NON  RETROFOCUS

PER  OTTENERE  IL  FAMOSO  ANGOLO  MAGICO,  CON  SCHEMI

OTTICI,  DATI  INEDITI  E  CONSIDERAZIONI  VARIE



ABSTRACT

A two-stage tell orbiting around the concept of unusual wide-angle lenses fitted on rangefinder Leica
bodies: in the first row we'll speak about three soviet options, available for Leica RF thanks to the
matching Zorki LTM mount: the KMZ Russar MR-2 20mm f/5,6, the ZOMZ (for export market,
or KMZ for soviet users) Orion-15 28mm f/6 and the LZOS (or KMZ for the more seasoned exemplars)
Jupiter-12 35mm f/2,8; each one is a true landmark in optics' Walhalla: the Russar is the only civilized and
user-friendy child from a venerable family of aerial super-wides conceived at wartime by the famous
soviet optician M. M. Roossinov: drawing from the work of math's genius Slussarev, he was able to develop
a symmetric non-retrofocus 120° + wide angle whose vignetting curve switched the Lambert cos4 law,
following a cos3 progression that allowed a far better corner luminance than previosly possible; this optical
formula is really flexible, and with really minor changes in radii and thickness of the elements leaded to a
range of Russars spacing from the 80° 50mm for 6x6 negatives to more than 120° (the second option in
the postwar patent reaches 133° with a severe aperture cut down to f/18).

The Orion-15 28mm f/6, also, gets birth from prewar big-bore aerial lenses, and is a true Zeiss Topogon-clone,
compressing the lens nut in less than 1cm3, that means tears and screams for the poor craftmen condemned to
grind from tough Short-Flint lumps those incredibly small, thin and curvy meniscuses... The first working prototypes
by GOI - Leningrad backdates to early 1944 and at time now it's still an interesting lens, not to mention it's
militance in the C-75 cold-war copy apparatus...

The third accomplice, the Jupiter-12 35mm f/2,8, boast as well a noble heritage, as it's a perfect copy (from an
optical standpoint) of the famous and venerable Biogon 35mm f/2,8, one of prewar Bertele's masterpieces;
interestingly, the first row (engraved BK, as Biogon Krasnogorsk) was assembled using original Zeiss spare
optics (raided in 1945 from Jena storages) in soviet-made mount; in the article you will find neat drawings of
the optics with quotes, several detaliled pictures, schemas and datas related to other Russar options delivered
in the same time of the MR-2 and test pictures taken with those lenses, alone and compared with some original
Leica-M of identical focal lenght, with 100% crops.

The second stage of the articles is about 90° of field on Leica M and reviews no less than ten non-retrofocus
20-21mm lenses available for M mount, stock or with adapters: the four original items (21/4 and 21/3,4 Super-
Angulon, 21/2,8 Elmarit pre-Asph and Asph) and six outsider (Zeiss Biogon Contarex 21/4,5, Nikkor-0 2,1cm f/4,
Voigtlaender Cosina Color-Skopar 21/4, Kobalux Avenon 21/2,8, Kobalux GR 21/3,5 from the compact
camera Ricoh GR-21 and Russar MR-2 20mm f/5,6), with pics and neat optical drawings of each one; as
a further and interesting addendum, I inserted the before unpublished glass data about the Super-Angulon-M
21mm f/4 compared to Bertele's 21/4,5 Biogon, the original that clearly inspired herr Klemt for his Schneider
project.

I think the whole article should be interesting indeed, and required weeks of work for collecting data, taking
and scanning pictures, drawing sketches and so on; so, if you are satisfied about, please support me visiting
the Paypal Donate link on the articles' main page, thanks!

28/08/2008

La nascita e la diffusione della Leica di Barnack ha creato uno standard sia nel formato (24x36mm) sia per quanto
riguarda il tiraggio meccanico (28,8mm per i modelli a vite e 27,8mm su quelli in attacco M, onde consentire
l'adozione di un adattatore per impiegare le ottiche col precedente attacco LTM); nel tempo moltissimi costruttori
hanno adottato le quote meccaniche e le calibrature del telemetro proprie della Leica, rendendo automaticamente
compatibili su quest'ultima i relativi obiettivi che avevano confezionato.

Questo ha comportato nel tempo la disponibilità di un vasto parco ottiche "alternativo", che se da un lato non
smuove più di tanto il Leichista ortodosso, dall'altro suscita comprensibile curiosità, sia per l'ampia scelta di focali
insolite a prezzo contenuto sia in funzione di una eventuale valutazione della loro effettiva resa ottica; in questo articolo
voglio restare nel mondo dei grandangolari e passare in rassegna vari obiettivi il cui denominatore comune sarà
- appunto - l'abbondante angolo di campo e la perfetta adattabilità ai corpi Leica, attuali e del passato.

L'industria sovietica del dopoguerra ha realizzato vari apparecchi 24x36mm a telemetro, ed in particolare la gamma
Zorki disponeva dello stesso attacco a vite 39x1 e di identica calibratura telemetrica rispetto alle Leica; questo rende
ovviamente compatibili i suoi obiettivi con la prestigiosa fotocamera tedesca, e grazie al citato anello LTM- baionetta M
è possibile estendere il "trapianto" ai modelli attuali; nella gamma di grandangolari per Zorki sono presenti tre obiettivi
particolarmente interessanti dal punto di vista ottico: il Russar MR-2 20mm f/5,6, l'Orion-15 28mm f/6 e lo Jupiter-12
35mm f/2,8; il 20mm fu prodotto unicamente in attacco LTM mentre il 28mm ed il 35mm sono nati in attacco Kiev-
Contax e successivamente realizzati anche con passo a vite 39x1 e camma telemetrica per Zorki.



i tre obiettivi sovietici in attacco a vite 39x1 appena citati: grazie al fatto
che gli originali corpi Zorki condividevano attacco, tiraggio e calibratura
del telemetro con i modelli Leica, oggi è possibile montarli sulle famose
telemetro tedesche: direttamente sui corpi a vite (come la IIIF BD dell'
illustrazione) o tramite il diffuso anello adattatore sui corpi M a baionetta


Come accennavo, ciascuno di questi obiettivi è una sorta di pietra miliare nell'ottica; il grandangolare
più spinto, il Russar MR-2 20mm f/5,6, fu industrializzato dal Gosudarstvennyi Optikeshi Institut di Leningrado
nel Settembre del 1956 e passato per la produzione di serie al KMZ di Krasnogorsk (Moskow), dove tutti gli
esemplari sarebbero stati assemblati, prima in montatura cromata e poi nera; questo segue una procedura "standard"
per quanto riguarda l'ottica sovietica: quasi tutti gli obiettivi venivano progettati dai matematici del GOI, autentico
centro direzionale che raccoglieva tutte le menti più illustri; completata la sezione ottica, il settore meccanico
provvedeva a progettare una montatura adeguata e a realizzare alcuni prototipi dotati di barilotto crudo e
brutalmente rifinito, utile solo per le prove pratiche valutative; in caso di esito positivo, l'ottica veniva deliberata
per la produzione di serie, e quest'ultima veniva delegata ad uno dei tanti stabilimenti satelliti.

Il Russar MR-2 20mm f/5,6 è particolarmente interessante perchè la sua concezione non si ispira, come spesso
avveniva, a qualche tipo ottico preesistente o a qualche famoso obiettivo tedesco ma si basa su un calcolo completamente
nuovo, frutto della mente brillante di Michael Michaelovitch Roossinov; quest'ultimo realizzò il calcolo in pieno periodo
bellico, intorno al 1941-42, ed una prima versione di questo innovativo super-grandangolare entrò rapidamente
in servizio (Dicembre 1942) su apparecchi 13x18cm per aero-fotografia grandangolare a bassa quota; questo primo
Russar copriva 96° di campo con distorsione ridottissima e fu chiamato semplicemente RF-96 100mm f/6,3, dove
R stava per Roossinov e F per obiettivo fotografico (in Russo l'aggettivo si antepone, da cui le iniziali "F").

 


Da questo schema base, brevettato anche negli USA nell'immediato dopoguerra, furono derivati direttamente
13 obiettivi destinati agli impieghi più disparati; 14 anni dopo, nel 1956, al GOI decisero che una versione da
20mm (esattamente 19,71mm) f/5,6 per 95° di campo sulla diagonale sarebbe stata prodotta in attacco a vite
39x1mm, il famoso Russar MR-2; in questo schema è presente la rara foto del prototipo GOI originale e quella
del modello definitivo (già in recente finitura nera), prodotta unicamente dal Krasnogorskij Mekhanichesnkij Zavod
di Krasnogorsk; l'obiettivo non è accoppiato al telemetro, ma l'ampia profondità di campo e l'abbondante serie
di riferimenti sulla scala di messa a fuoco rendono ininfluente questa limitazione.


L'Orion-15 28mm f/6 ci racconta una storia analoga: nel massimo periodo collaborazionista (a metà anni '30) i tecnici
sovietici e tedeschi si scambiavano di comune accordo i relativi progetti, ed i piani del Topogon di Richter del 1933
passarono rapidamente nelle mani dei colleghi sovietici; questi ultimi sfruttarono il Topogon in maniera molto più estensiva
di quanto non avvenne a Jena (dove si limitarono a 32 esemplari da 100mm f/6,3  e a 5 esemplari da 200mm f/6,3 per le
RMK aerial cameras della Luftwaffen): con la denominazione Orion i tecnici del GOI progettarono una nutrita famiglia
di Topogon-cloni ad uso aero-fotogrammetrico, a partire dall'Orion-2 150mm f/6 dell'Ottobre 1937, un'ottica da 80°
che copriva su una diagonale da 255mm il classico formato aero-fotografico sovietico da 18x18cm; sul finire della guerra,
nel Marzo 1944, al GOI realizzarono l'olotipo di una versione analoga (stessa luminosità ed analogo angolo di campo)
destinata ad apparecchi a telemetro 24x36mm; l'obiettivo, che costituiva il 244° progetto industrializzato al GOI, fu
denominato Orion-15 ed era caratterizzato da una focale di 28mm con luminosità f/6; contrariamente al Russar da 20mm,
l'Orion-15 è regolarmente accoppiato al telemetro ed è perfettamente idoneo anche alle Leica attuali.

 



Il progetto originale del GOI fu prodotto sia in montatura a baionetta Kiev-Contax sia in attacco LTM per Zorki-FED;
presso il KMZ di Krasnogorsk vennero assemblati esemplari destinati al mercato interno sovietico, identificabili
per le scritte in cirillico, mentre i modelli da esportazione, con tanto di denominazione "made in USSR" furono montati
dal ZOMZ di Zagorsk; quest'ultimo stabilimento merita qualche cenno: la città nel quale ha sede era originariamente
denominata Sergei Pozad e venne ribattezzata Zagorsk nel 1930, in onore di un eroe della rivoluzione; nello stabilimento
ottico-meccanico vennero costruiti anche obiettivi per topografia, le ottiche Mir-1 e Tair-3 per Zenit e materiale per
oftalmologia (da cui il logo che schematizza un occhio visto di profilo); la produzione più famosa dell'Optiko Zavod a
Zagorsk era costituita da un particolare vetro al Piombo e Didimio che reagiva al laser creando piccole bolle; focalizzando
il laser stesso al suo interno a controllo numerico era possibile creare immagini e scritte tridimensionali nel blocco di vetro,
una tecnologia recentemente disponibile anche nel nostro paese; infine, un dettaglio agghiacciante: in tempi recenti,
nella stessa località fu attivo uno stabilimento dove si cercava di trasformare in arma batteriologica ad uso bellico un
particolare virus di febbre emorragica....

Se il 20mm Russar è frutto di un progetto originale e l'Orion-15 è una libera interpretazione di uno schema famoso,
lo Jupiter-12 35mm f/2,8 non tenta nemmeno di nascondere la sua clonazione dal celebre Zeiss Biogon 35mm f/2,8,
calcolato per la Zeiss Jena da Ludwig Bertele a metà anni '30 ed entrato in produzione nel corso del 1936; lo schema
originale a sei lenti, derivato estremizzando il tipo Sonnar, fu rivisto dallo stesso Bertele nel dopoguerra con l'aggiunta
di un elemento, modifica necessaria per il maggiore spessore dell'otturatore progettato per le nuove Contax IIA e IIIA,
le cui tendine andavano a contatto con la lente posteriore del modello prebellico... Viceversa, la versione sovietica
Jupiter-12 ricalca ancora fedelmente lo schema originale anni '30, ed è stato prodotto fino all'epoca attuale senza
aggiornamenti se non per quanto riguarda i trattamenti antiriflesso.

 

La storia dello Jupiter-12 è, se vogliamo, ancora più intrigante rispetto ai modelli già descritti: dopo le note
traversie legate allo spostamento della linea di produzione Contax da Jena a Kiev, la produzione dei cloni
Contax in Ukraina prese lentamente avvio; contemporaneamente, al KMZ di Krasnogorsk, si provvedeva
a realizzare la necessaria gamma di ottiche, anch'esse nate ricalcando fedelmente i corrispondenti modelli
Zeiss Jena; in quest'ambito, negli anni 1948-1950, vide la luce una particolarissima ed oggi ricercata serie
di obiettivi, marcati BK (per Biogon Krasnogorsk) ed SK (per Sonnar Krasnogorsk, abbreviazioni ovviamente
adottate per non infrangere il copyright sui nomi originali); queste prime serie si avvalevano di noccioli ottici
originali Zeiss, prelevati dai Russi durante la spoliazione di Jena, assemblati in montature prodotte al KMZ;
intorno al 1950, terminata la disponibilità di gruppi ottici originali Zeiss Jena, al KMZ si organizzarono per
confezionare l'obiettivo al 100%, producendo anche le parti ottiche, e la denominazione passò da BK a
Jupiter-12; c'è chi argutamente ha fatto notare che Jupiter (dal latino Jupiter, Giovis) significa Giove, cioè
Zeus, storpiato dallo spelling teutonico in qualcosa di simile a Zeiss.. Un modo malizioso di ricordare
l'autentica eredità genetica dell'obiettivo! La versione "all russian" Jupiter-12 fu realizzata sia in montatura
Kiev a baionetta sia in attacco LTM 39x1 per Zorki-FED; il modello a vite fu inizialmente rifinito in alluminio
lucido, e successivamente laccato nero; per quanto riguarda la produzione, il KMZ di Krasnogorsk produsse
l'obiettivo fino a circa il 1960, quando subentrò lo LZOS di Lytkarino; alcuni sostengono che gli esemplari
KMZ siano costruiti ed assemblati con cura e precisione superiore rispetto ai successivi LZOS, ma ritengo
che si tratti di impressioni legate all'oggettiva fluttuazione qualitativa che ha sempre accompagnato ogni
esemplare di obiettivo d'oltre cortina... Infine, il Biogon Krasnogorsk dell'illustrazione, un esemplare del 1948
(notare l'originale marchio KMZ, col prisma privo di frecce), è trattato antiriflessi, come risulta dall'apposito
simbolo rosso e dall'aspetto delle lenti: essendo stato assemblato con gruppi ottici originali Zeiss e prodotti
prima del 1945, chissà se il trattamento delle lenti era già stato effettuato dalla Zeiss Jena oppure successivamente
dai sovietici...

 

Dal punto di vista ottico, i tre obiettivi sono dei grandangolari non retrofocus, e sia il 20mm Russar
che il 28mm Orion sono quasi perfettamente simmetrici; lo Jupiter-Biogon deriva evidentemente dal
Sonnar 50mm anni '30, semplificando l'elemento collato anteriore in un doppietto (ma esiste un progetto
intermedio del 1934 in cui tale elemento è un tripletto come nel Sonnar) ed aggiungendo il grande elemento
posteriore di ampio diametro e che si posiziona ad appena 7,53mm dal piano focale, sfiorando di fatto
l'otturatore: fortunatamente l'otturatore della Leica M, con sottili tendine in stoffa gommata, è talmente
vicino al piano focale da consentire il corretto funzionamento, ma prevedo seri problemi di proiezione
periferica su una Leica M digitale... Infine, un accenno alle dimensioni: il nocciolo ottico dell'Orion,
un classico tipo Topogon, misura solamente 11,2mm x 12,6mm, ed i sottili menischi interni, realizzati
in coriaceo vetro Short-Flint, presentano un diametro di 7,2mm ed uno spessore inferiore ad 1mm...
Provate ad immaginare le incredibili difficoltà incontrate e le percentuali di scarto necessarie per la
realizzazione di questi minuscoli elementi così come per il montaggio e la corretta centratura di un
nocciolo ottico così minuscolo... E' la maledizione del Topogon: per quanto apparentemente semplice,
per tanto arduo da concretizzare!

 



Il Russar MR-2 20mm f/5,6 garantisce uno spazio rertrofocale di 10,98mm ed anche
in questo caso i minuscoli elementi interni e l'ampia curvatura dei sottili menischi esterni
dovevano creare qualche grattacapo alle maestranze; la focale effettiva di 19,71mm garantisce
95° di campo, un percettibile incremento rispetto ai classici 21mm per Leica, e per una corretta
visualizzazione si rende necessario il suo mirino originale KMZ; il diametro del cannotto posteriore
ed il ridotto spazio retrofocale (sostanzialmente inferiore a quello dei 21mm Elmarit-M originali)
rendono inaffidabile e quindi impraticabile l'esposizione TTL con i modelli Leica che lo consentono;
la massa a fuoco su scala metrica scende fino a 0,5m.




L'Orion-15 28mm f/6, un Topogon classico, garantisce un ampio spazio retrofocale
(21,73mm) e consente la regolare esposizione TTL su tutti i modelli Leica, M5 compresa,
anche se la collimazione del diaframma utilizzando la scomoda e datata ghiera anteriore
non è un'operazione molto agevole, e mentre si tiene l'occhio al mirino si rischia di coprire
l'obiettivo con le dita, falsando i valori della lettura; la focale effettiva è di 27,94mm ed
occorre rimarcare nuovamente le dimensioni lillipuziane del complesso, focalizzabile con
telemetro accoppiato da infinito fino ad 1m dal soggetto.


Lo Jupiter-12, copia conforme del Biogon prebellico, ha una focale effettiva di 35,7mm e si caratterizza
per l'imponente elemento posteriore da 29mm di diametro  che richiede molta attenzione all'atto del
montaggio per non scorticare l'antiriflessi o la finitura nera del cannotto contro la rotella del telemetro:
molto spesso si riferiscono lamentele circa il flare prodotto dallo Jupiter, sovente causato dai riflessi
parassiti generati dal cannotto posteriore danneggiato e reso lucido da inserimenti poco accorti...
Come avveniva anche col 20mm Russar, la ridottissima distanza retrofocale di 7,53mm e l'ampio
diametro della lente rendono impraticabile la misurazione TTL sui corpi Leica M; applicando l'adattatore
vite 39x1 - M sugli obiettivi da 28mm e 35mm è preferibile scegliere al versione che inserisce automaticamente
la relativa cornicetta nel mirino; ricordo che i corpi Voigtlaender-Cosina Bessa R4 incorporano anche la
cornice del 21mm, una opzione utile col 20mm Russar (restando un po' abbondanti all'esterno delle cornici)
dal momento che si possono sfruttare le cornici stesse per una più precisa messa in bolla.

 

Nel progetto originale di Michael Michaelovitch Roossinov del 1941-42 i vetri adottati
provenivano dal catalogo LenZOS del 1936, azienda di Leningrado che forniva i vetri
per i progetti del GOI nel periodo prebellico; lo specifico progetto MR-2 20mm f/5,6,
concretizzato nel 1956, in virtù del suo angolo di campo inferiore (95° contro i 122°
e 133° dei prototipi originali f/8 ed f/18) adottava vetri leggermente diversi e che venivano
forniti dallo LZOS, che peraltro vanta anche attualmente (2008) un ampio catalogo di vetri
ottici convenzionali, resistenti alle radiazioni, specifici per IR-UV, etc. Il grande merito del
progetto Russar di Roossinov sta nel fatto che questo schema sostanzialmente molto semplice
presenta una incredibile flessibilità, e senza variazioni sostanziali passa dagli 80° di un Russar
50mm per il formato 6x6 agli oltre 120° di alcuni modelli per aero-fotografia, dotati di piastra
posteriore di spianamento, garantendo anche nei modelli ad angolo più spinto un'illuminazione
dei bordi sufficiente e comunque largamente superiore ad equivalenti obiettivi derivati dal tipo
Hypergon e Topogon; questi meriti furono ben riconosciuti anche dal management, che gratificò
il progettista definendo questa serie di obiettivi Russar MR, acronimo di Michael Roossinov!

 

lo schema originale del primo Russar MR-2, finalizzato da Roossinov per il GOI nel 1956

 

Le ragioni della superiore luminosità ai bordi dei modelli più spinti è legata
allo sfruttamento da parte di Roossinov di alcuni principi teorizzati dal matematico
Slussarev; in pratica, nel tipo Russar fu inserita volontariamente una quota di coma
pupillare nelle zone periferiche, che aumentava la sezione dei light pencils rispetto
ai simmetrici convenzionali, migliorando l'esposizione ai bordi; infatti, la progressione
dell'illuminazione sulla diagonale si svincolava dalla legge di Lambert e non seguiva più
il cos4 di Theta ma solamente il cos3 di Theta; quest'applicazione fu un momento epocale
nella storia dell'ottica e nello sviluppo di super-grandangolari simmetrici utilizzabili senza
filtro degradante, al punto che lo stesso Bertele, calcolando il mitico Biogon f/4,5 da 90°,
applicò gli stessi principi del pioniere Roossinov.

Pochissimi sanno che in quel lustro adiacente agli anni '60 l'evoluzione del tipo Russar ebbe un rinnovato
impulso, nell'ambito del quale il tipo MR-2 da 20mm f/5,6 per Zorki-FED va considerata solamente come
la punta dell'iceberg: infatti, nel corso di tre anni, il GOI partorì altre tre versioni, destinate ad aero-fotocamere
compatte in formato 8x8cm, a microcamere-spia e addirittura ad impieghi televisivi; ecco i rari dettagli su
queste sconosciute versioni.


Due mesi dopo il 20mm f/5,6 MR-2 fu la volta del Russar MR-3 da 35mm f/6,8, in grado di coprire ben
117° di campo su un formato 8x8cm; per garantire l'adeguata planeità di campo all'apparecchio aero-
fotografico fu aggiunta una lente di campo posteriore piatta, a contatto col film. Notare come lo schema
base sia estremamente simile a quello del tipo MR-2 da appena 95°: in pratica, lavorando sulla curvatura
dei due menischi esterni, Roosinov poteva spaziare su circa 45° di campo mantenendo il medesimo impianto;
addirittura, anche i famosi Rodina da 133°-134°-140° per aero-fotografia (si parla di formati 18x18cm
coperti con focali da appena 45-55mm.....) altro non erano che Russar cui venivano aggiunte due lastre
piano-parallele fra i due menischi periferici ed il modulo interno....

 



Il Russar MR-4 del Dicembre 1957 è forse l'esemplare più incredibile della famiglia:
con una focale di appena 6,77mm f/5,6 era un obiettivo piccolo come un tappo da
acqua minerale e pesava appena 8gr! Nonostante ciò, al GOI erano riusciti a
miniaturizzare lo schema originale Russar, incontrando chissà quali difficoltà nella
lavorazione, il montaggio e la centratura delle lenti, consentendo così all'MR-4 di
coprire ben 103° di campo su un formato da 12x12mm; l'utilizzo dell'obiettivo non
è chiaro, ma sembra che fosse destinato a piccoli apparecchi spia dalle dimensioni
estremamente ridotte, in grado di coprire ampi spazi da distanze minime... Cool!


l'ultimo parto di questa new-wave anni '50, datato Settembre 1959, è il Russar MR-8 da 14mm f/5,6,
accreditato di ben 111° su  un formato da 28x28mm e destinato a primitivi dispositivi televisivi; la
copertura è identica a quella del formato 24x36mm, che potrebbe servire perfettamente (ed infatti
un 14mm sul 24x36mm copre circa 114°...); notare la lente di campo in vetro LK3, dotato di numero di
Abbe vD = 70,04 ed equivalente al vetro Schott a bassa dispersione tipo FK5: a partire da un certo
momento storico, questi obiettivi sovietici fotogrammetrici dotati di lente di campo cominciarono ad
adottare per quest'ultima il vetro a bassa dispersione appena descritto, una caratteristica peculiare della
produzione GOI.


Due insoliti obiettivi derivati dallo stesso progetto di base: lo Zeiss Jena Topogon 25mm f/4
postbellico (realizzato a Jena per le Contax Stuttgart postbelliche IIA e IIIA) e l'Orion-15
28mm f/6 sovietico che ne mantiene le suggestioni anche da un punto di vista estetico, grazie
alla obsoleta ghiera anteriore per il controllo del diaframma; incidentalmente, l'Orion-15 nacque
prima del Topogon 25mm f/4 (1944 contro 1950), ed eventualmente il suo target va ricercato
ne prototipi Zeiss Jena  Topogon 25mm f/4,5 prebellici.

(ringrazio Pierpaolo Ghisetti per la disponibilità del Topogon 25mm)

 

i due schemi a confronto; in evidenza i due menischi esterni
dell'Orion-15, caratterizzati da spessore molto superiore
rispetto allo Zeiss Topogon originale.

 

La montatura anteriore di uno Jupiter-12 35mm f/2,8 nero prodotto dallo LZOS nel 1989; nonostante
la realizzazione molto recente l'obiettivo mantiene l'estetica originale, piacevolmente datata e sottolineata
dal classico comando anteriore per il diaframma, solamente a 5 lamelle come nei BK originali del 1948;
lo Jupiter-12 è un obiettivo che ha incontrato un certo successo ed è molto più facile da reperire rispetto
agli insoliti Orion-15 e Russar MR-2

 

Una vista completa dello Jupiter-12 35mm f/2,8 col caratteristico tappo sovradimensionato,
necessario per accogliere il  modulo posteriore; la messa a fuoco si estende da infinito ad 1m,
e la montatura è estremamente compatta, caratteristica condivisa con il 28mm Orion-15
e con il 20mm Russar MR-2, le cui dimensioni sono sostanzialmente inferiori agli omologhi
Leica-M, per quanto anch'essi eccellano per miniaturizzazione.

 

lo Jupiter-12 35mm f/2,8 con il modulo posteriore svitato per esporre la montatura; fu proprio grazie
ad un'abbondante stock di questi noccioli - recuperato nei magazzini della Zeiss a Jena - che i sovietici
di Krasnogorsk poterono realizzare l'originale serie BK del 1948-50; durante il montaggio sul corpo macchina,
 la finitura nera dell'ingombrante modulo posteriore va a sfiorare la rotella del telemetro, ed occorre
attenzione per non abraderla  ed evitare così riflessi parassiti sul metallo scoperto; eventualmente è
sempre possibile ritoccare il danno con un smalto nero matt.

 

Una Leica M6 dotata di Orion-15 28mm f/6 applicato grazie all'anello adattatore 39x1-M;
per l'inquadratura si possono utilizzare le apposite cornicette interne oppure un mirino esterno
da 28mm; l'ottica, come detto, legge in TTL, ma ruotando la ghiera anteriore del diaframma,
mentre si controllano i led nel mirino, occorre prestare attenzione a non coprire l'obiettivo con
le dita, falsando così la lettura!


Vista posteriore dei tre obiettivi: sebbene si tratti in ogni caso di progetti non retrofocus,
le minime dimensioni del nocciolo montato sull'Orion-15 garantiscono uno spazio retrofocale
sufficiente alla lettura esposimetrica, mentre gli importanti ingombri che caratterizzano il Russar
MR-2 e lo Jupiter-12 precludono questa possibilità e richiedono anche molta cura nel montaggio.

 

Un utilizzo poco conosciuto dell'Orion-15 28mm f/6 lo rende ancora più interessante dal punto di vista storico:
nei primi anni '70, in piena guerra fredda, i sovietici realizzarono un sistema portatile per riproduzione rapida
denominato C-75, articolato in pratica come una piccolo "box per fototessera" in miniatura: un apparecchio
35mm a telemetro era applicato ad un soffietto che terminava in un box diffusore illuminato da due lampadine
alimentate da una batteria KBC da 4,5v (all'epoca molto diffusa anche da noi); l'obiettivo, dotato di un'ampia
baionetta speciale ad attacco rapido, era proprio un Orion-15 28mm f/6, applicato in montatura fissa al
soffietto distanziatore/paraluce; ecco le immagini dell'apparecchio (cortesia Luis Paracampo - Novacon)

L'obiettivo era regolato su un rapporto di riproduzione fisso di 1:6,35, pari ad un campo coperto di
210x150mm (in pratica un formato A5), ed anche il valore del diaframma (f/6 completamente aperto)
ed il tempo di posa (1/5") erano fissi; la risoluzione dichiarata era di 90 l/mm (centro) e 50 l/mm (bordi),
pari a 45 e 25 coppie di linee, rispettivamente; l'apparato era garantito per funzionare fra 0°C e +45°C
(probabilmente i limiti inferiori erano dettati dalla batteria zinco-carbone), misurava 250x129x220mm
e pesava 1,6kg.

Una versione modificata di quest'obiettivo fu asseritamente impiegata dagli agenti segreti nei massimi
picchi della guerra fredda, dissimulando l'apparecchio stesso in una voluminosa borsa in pelle porta-
documenti, dotata di un foro quadrato sotto la base e di comando di scatto celato nella maniglia:
appoggiando con noncuranza (si fa per dire..) la borsa sopra ad un documento, l'agente segreto poteva
fotografarlo attraverso l'apertura, grazie al sistema già pre-focalizzato su quella distanza e all'esposizione
pre-calibrata e garantita dalle lampadine alimentate a batteria; ecco uno schema dell'attrezzatura, tratto
dal prezioso libro di Keith Milton "Historical Espionage Equipment".

L'Orion-15 come strumento di spionaggio della guerra fredda: non mancava che questo al suo
già considerevole allure !

(ringrazio il caro amico Luis Paracampo per il supporto)

 

Dal momento che la focale 21mm da 90° è un autentico classico per Leica M, ho colto al balzo l'occasione
fornita dal 20mm Russar per tirare le fila sui 20-21mm non retrofocus applicabili a Leica, rendendomi conto
che - sia pure con l'esclusione del più corto 19mm f/3,5 per Canon a telemetro - sono disponibili ben DIECI
obiettivi con queste caratteristiche, alcuni dei quali arcinoti ed altri quasi sconosciuti; sento quindi l'esigenza
contestuale di fare chiarezza, introducendo magari qualche altro intrigante obiettivo "estraneo" al sistema Leica...

Da sempre amante dei 21mm simmetrici, nel tempo ho provveduto a procurarmi alcuni modelli;
nell'illustrazione, assieme al classico Elmarit-M 21mm f/2,8 pre-Asph. troviamo il celebre Zeiss
Biogon per Contarex e l'altrettanto mitico Nikkor-O 2,1cm f/4 per Nikon F, applicati su Leica M
con anello artigianale (il primo) ed anello Benatti Nikon F -Leica M (il secondo); infine, su IIIF BD,
il Russar MR-2 20mm f/5,6 appena descritto; purtroppo non possiedo il mirino originale e devo
arrangiarmi con modelli da 21mm, abbondando un po'... (Ovviamente anche il 20mm Russar può
essere applicato ai corpi M con l'anello 39x1-M).

 

tre dettagli ravvicinati di questi classici obiettivi, raffinati oggetti che riecheggiano
un'estetica senza tempo; da notate, sul Nikkor, l'appartenenza alla primitiva generazione
"thick mark", evidenziata anche dalla "R" rossa per il riferimento della messa a fuoco ad
infrarossi: la bibliografia classica annovera nei "thick mark" originali solamente le focali
retrofocus da 28 a 135mm, dimenticando questo illustre pretendente...

 

il Biogon Contarex 21mm f/4,5 su Leica M in esecuzione particolare: sulla doppia staffa
Voigtlaender trova posto il mirino originale Zeiss e la raffinata livella a bolla Voigtlaender;
incidentalmente, sarebbe possibile applicare anche l'equivalente e meno raro Biogon 21mm
f/4,5 per Contax, sfruttando il complesso e costoso anello adattatore Contax-Leica M.

 

Lo stesso, magnifico Biogon 21mm f/4,5 applicato al corpo originale, la Contarex I "Cyclope"
(qui in versione "D"),  con mirino e paraluce 21-35 originali: capolavori di design degni delle
vetrine di un museo d'arte moderna.


L'evoluzione dei 21mm Leica in direzione di un progetto retrofocus (per avanzare l'ultimo elemento e consentire la lettura
TTL sui corpi macchina) è evidenziata da questo confronto: a parità di battuta in flangia (compreso ovviamente i relativo
e necessario anello adattatore) l'Elmarit-M 21mm f/2,8 lanciato nel 1980 presenta uno spazio retrofocale libero molto
superiore a quello di Russar e Biogon (circa 10-11mm) e soprattutto rispetto al Nikkor-O, che si spinge fino a circa 7mm
dal piano focale; nonostante il forte arretramento, il cannotto posteriore del Biogon ha un diametro molto contenuto, e
provvedendo ad asportare (come nell'esempio della foto) la palpebra paraluce protettiva posteriore si riesce a mantenere
l'esposizione TTL sui corpi M, il che significa, ad esempio, lavorare in automatico a priorità di diaframmi sulla M7 con un
Biogon 21mm del 1958: niente male... Per eliminare la piccola palpebra posteriore in materiale plastico è sufficiente allentare
di alcuni giri la piccola vite di fermo di cui dispone, prestando poi maggiore attenzione alla lente posteriore esposta!


Come accennavo, sono almeno 10 gli obiettivi non retrofocus (o comunque con spazio retrofocale incompatibile
con i sistemi reflex) che è possibile montate su Leica M; ecco le loro caratteristiche ottiche.


il primo 21mm per Leica, progettato per Schneider da Klemt, l'inventore dei Super-Angulon f/8
per grandi formati; questo progetto del 1957 è chiaramente ispirato al Biogon di Bertele f/4,5
Da 90°, ideato nel 1951; esiste sia in attacco LTM che Leica M.

l'evoluzione f/3,4 del precedente obiettivo (derivato direttamente dagli schemi f/5,6 per grandi formati)
riduce la vistosa vignettatura che affliggeva il precedente f/4, specialmente sulla critica Kodachrome II;
disponibile cromato o nero solamente in attacco M.

Primo 21mm progettato e prodotto in Leitz, si avvale di un calcolo parzialmente retrofocus
per consentire il funzionamento dell'esposimetro TTL sui corpi macchina Leica; ovviamente
è disponibile solo in attacco M.

Versione evoluta del precedente 21mm, con superficie asferica dietro al diaframma;
realizzato in varie finiture, solo in attacco M.

Nato per le Nikon a Telemetro e ri-assemblato per Nikon F con montatura arretrata,
il Nikkor-0 2,1cm f/4 di Wakimoto fu prodotto dall'Ottobre 1959 al Settembre 1967
con matricole che coprirebbero teoricamente 7.062 esemplari, ma certi vuoti nella
numerazione sequenziale portano ad una produzione totale di appena 5.837 pezzi;
chiaramente ispirato a Biogon f/4,5 e Super-Angulon, rispetto a questi ultimi adotta
un elemento centrale nei tripletti collati di valore rifrangente opposto, migliorando
così la correzione di certe aberrazioni; in attacco Nikon F, adattabile su Leica M
con apposito anello F -M.

21mm simmetrico per eccellenza, lo Zeiss Biogon 21mm f/4,5 fu progettato da Ludwig Bertele nel 1951
ed entrò a regime in attacco Contax nel 1954 ed in montatura arretrata Contarex nel 1958; l'esemplare
illustrato è in attacco Contarex, ed in questa configurazione il Biogon 21mm è stato realizzato in appena
4.000 esemplari; l'attacco Contarex è adattabile su Leica M con un apposito anello adattatore, realizzato
da vari artigiani.

Nella gamma di obiettivi in attacco LTM e Leica M presentati dalla giapponese Cosina col marchio
Voigtlaender è presente anche un Color-Skopar 21mm f/4 dalle prestazioni interessanti, disponibile
nella vecchia versione I con passo a vite LTM (adattabile con anello 39x1-M) e nella nuova versione
II con attacco Leica M.

La giapponese Kobalux ha acquisito da Ricoh i noccioli ottici dei prestigiosi obiettivi montati
sulle famose compatte GR-1 e GR-21, un 28mm f/2,8 ed un 21mm f/3,5 dotati di due ed una
lente asferica e basati su schemi sofisticati e moderni; l'Azienda ha rimontato i noccioli ottici
in un barilotto di qualità, dotandolo di attacco a vite Leica 39x1 e ribattezzando gli obiettivi
GR lens (per ricordare l'origine del gruppo ottico); il 21mm f/3,5 Kobalux GR, distribuito
in Giappone in tiratura limitata, ha ottime doti di nitidezza e contrasto ma soffre di una vistosa
vignettatura dovuta al ridotto diametro degli elementi (ricordiamo che l'obiettivo proviene da
una minuscola compatta, per quanto costasse all'epoca oltre tre milioni di Lire...); conosco
la resa dell'obiettivo avendo utilizzato una delle rare Ricoh GR-21 arrivate sul nostro mercato,
e posso confermare la grande brillantezza ed anche la vistosa vignettatura; anche in questo
caso si può adattare l'ottica su Leica M con l'anello 39x1-M.

La stessa Kobalux aveva progettato in proprio un 21mm f/2,8 (distribuito come Kobalux in
Giappone e come Avenon su altri mercati), dotato di attacco LTM 39x1mm; l'obiettivo non
fu mai importato ufficialmente in Italia tranne che per un limitatissimo lasso temporale, quando
il geniale Maurizio Rebuzzini si accollò l'onere dell'impresa, ad inizio anni '90; ricordo che mi
mostrò entusiasta una serie di diapositive impressionate dal lui con il Leitz Super-Angulon 21mm
f/3,4 e con l'Avenon 21mm f/2,8, dalle quali si evincevano le ottime doti del 21mm nipponico.
Raro, ovviamente accoppiato al telemetro ed utilizzabile su M col solito anello 39x1-M.

Decimo ma non ultimo, il Russar MR-2 20mm f/5,6 del quale abbiamo ampiamente discusso, l'unico
ad arrivare a ben 95° grazie alla focale effettiva inferiore a 20mm; non legge TTL, e scomodo da
usare ed impostare, non è accoppiato al telemetro ma la sua estetica ha un fascino innegabile: sarà
perchè riecheggia così morbosamente l'Hologon 15mm per M? Stesse considerazioni di cui sopra
per l'attacco originale LTM.

Tanto per confermare l'assioma secondo il quale ogni regola genera subito eccezioni, occorre dire che -
in effetti - esisterebbero altri due grandangolari simmetrici (esteticamente molto simili al Biogon 21mm e
soprattutto al Nikkor-0 2,1cm) adattabili su Leica M, ma sono talmente rari ed inconsueti sul nostro
mercato da azzerare le possibilità di reperirne uno; in ogni caso, per dovere di cronaca e per amore di
completezza, aggiungiamo alla lista il Minolta W-Rokkor 21mm f/4 GH, appartenente alla gamma di
obiettivi Minolta MC per reflex, adattabile su Leica M grazie all'anello predisposto per montare gli
obiettivi Minolta reflex su Minolta CLE (e quindi anche Leica M); l'altro obiettivo, praticamente identico
al Nikkor-0, è lo Yashica Yashinon DX 21mm f/3,3, una vecchia gloria dei corredi Yashica d'antàn
dotato di attacco a vite 42x1, adattabile su M grazie alla differenza di tiraggio, facendo predisporre
un apposito anello; quindi, se prendiamo in considerazione anche il Canon 19mm f/3,5, esistono 13
diversi obiettivi, più o meno simnmetrici e nell'intorno dei 20mm, adattabili su Leica M!

Indirizzando nuovamente la nostra attenzione sul Leitz Super-Angulon 21mm f/4, sono in grado di
divulgare le caratteristiche dei vetri ottici impiegati nella sua realizzazione, paragonando il progetto
al Biogon 21mm f/4,5 calcolato 6 anni prima, al quale chiaramente si ispira.


Quando Guenther Klemt progettò per la Schneider Kreuznach il famoso Super-Angulon 21mm f/4,
nel 1957, poteva contare su un know-how di tutto rispetto, dal momento che aveva già firmato il
calcolo dei famosi Super-Angulon f/8 per banco ottico, poi molto apprezzati e diffusi fra l'utenza
professionale; la base del progetto 21mm f/4 era chiaramente il Biogon 21mm f/4,5 di Bertele,
calcolato nel 1951, come dimostrato dai due moduli interni prospicenti il diaframma, concettualmente
molto simili, ivi compresa la scelta di avere l'elemento centrale del tripletto collato ad effetto fortemente
convergente, quando Wakimoto aveva preferito cambiare rotta ed invertire la curvatura dei raggi a
contatto... Per ottenere un'elevata correzione con l'apertura f/4,5 - all'epoca molto elevata per la
focale - Bertele aveva sdoppiato l'elemento anteriore, creando una lente d'aria che correggeva
l'aberrazione sferica di ordine superiore, mentre Klemt ha utilizzato due coppie di menischi
all'estremità dello schema; peraltro, Klemt si basò su vetri di "vecchia scuola", quando invece
Bertele, già nel 1951, aveva adottato in terza posizione un moderno LAK10; nei due obiettivi
è identica la progressione delle dispersione nei primi due elementi, molto contenuta in entrambi
e decrescente dal primo al secondo, anche se Bertele utilizza valori più spinti, adottando per la
seconda lente il vetro FK5, con numero di Abbe  vD superiore a 70.

 

infine, per evidenziare i ruolo di trendsetter svolto dall'Elmarit-M 21mm f/2,8 del 1980,
voglio attirare l'attenzione sul dettaglio che ho scherzosamente ribattezzato "modulo
Mandler" e che caratterizzò la lunga evoluzione di prototipi, durata quasi 20 anni, che
portarono a quest'obiettivo: questa particolare struttura del membro posteriore è un
leit motiv di tutta questa serie di versuche, ed osservando gli schemi del Kobalux
Avenon e del Color-Skopar non può sfuggire la riverente "citazione"...

 

Archiviata la descrizione dei 90° applicabili a Leica M, torniamo ai tre obiettivi sovietici
per Zorki-FED per analizzare alcuni scatti di prova che ho eseguito sul campo, nel
caldo implacabile d'Agosto, montando il Russar MR-2, l'Orion-15 e lo Jupiter-12 su
una delle mie Leica M6, sfruttando il classico anello 14.0xx per adattarli.


Chi scrive intento a qualche scatto di prova con gli obiettivi sovietici descritti
nell'articolo; notare i moschettoni da roccia che reggono la cinghia della borsa:
c'è dietro una lunga storia, buona per una prossima volta....
Location: il suggestivo paese di Modigliana, sulle colline faentine.


Ho caricato la M6 con Ilford XP2 400 e Velvia 100 Professional, esponendo
in TTL oppure utilizzando una Canon EOS 5D + EF 35/1,4 L come "esposimetro
esterno" con gli obiettivi che non consentono la lettura e scansionando i risultati
con Nikon Coolscan a 2700 Dpi; naturalmente non ho provato obiettivi così vecchi
alle massime aperture, cercando invece di valutarli a diaframma ottimale, con tutti
i limiti del caso (sono ottiche molto datate, sulla cui calibratura ottica, meccanica e
della camma telemetrica non metterei un pelo sul fuoco...)

 

 

l'ampio respiro consentito dalla focale di 19,7mm è oggettivamente utile, a patto di riuscire
a gestire la messa in bolla, davvero difficile con i mirini esterni, molto aberrati e privi di
riferimenti geometrici; quando usavo Leica M quotidianamente, un milione di anni fa,
mi ero abituato a "sentire" in bolla l'apparecchio direttamente in mano, facendo esercizi di postura
ed arrivando al paradosso di scattare ad occhi chiusi per concentrarmi meglio sull'impugnatura....
Questa "disciplina" è rimasta come una buona abitudine anche oggi, come dimostrato da questo
scatto; la pellicola utilizzata non ha una risoluzione molto elevata, quindi non è possibile effettuare
valutazioni critiche, tuttavia l'obiettivo ha una resa dignitosa in asse e tiene abbastanza bene anche
sui bordi; quello che invece ho notato con stupore è la distribuzione luminosa: nonostante i claims
fatti all'epoca da Roossinov e la riduzione in questo esemplare ad appena 95° di campo, la vignettatura
è avvertibile, anche chiudendo ad f/11.

 

 

Da questa immagine (nuovamente...in bolla)  s'intuisce la capacità del Russar di delineare
i vari piani dell'immagine con una presenza analoga, nonostante le distanze dal corpo macchina
siano molto varie (la messa a fuoco è su valori prossimi ad infinito, ma la quinta in primo piano
a destra  - a poche decine di centimetri dall'apparecchio - è ben leggibile); la nitidezza dell'immagine
è minata da una leggera fuzziness da aberrazioni irrisolte che solitamente non troviamo nei campioni
ben più titolati (e recenti, e costosi...)

 

 

Roossinov dichiarava per i modelli da oltre 120° una distorsione massima poco superiore all'1%,
referenze molto lusinghiere, ed infatti anche il 20mm Russar presenta un'ottima correzione ortoscopica,
come evidenziato da quest'immagine, da cui si evince però anche un vistoso livello di vignettatura,
un difetto francamente inaspettato; notare, anche in questo caso, la presenza sui vari piani dell'immagine.

 

 


Passando all'Orion-15 28mm f/6, confesso che nutrivo grandi aspettative su quest'obiettivo,
dal momento che ho utilizzato sia il Topogon originale sia numerosi "cloni", ottenendo sempre
una nitidezza soddisfacente; in questo caso, invece, anche sull'asse l'immagine è un po' "fuzzy"
e ai bordi, da sempre cavallo di battaglia dei "Topogon", le linee ad orientamento tangenziale
(perpendicolari alla semidiagonale che le congiunge con l'asse) presentano un vistoso ammorbidimento;
tipicamente Topogon la correzione della distorsione, praticamente inesistente, e la propensione
al flare di controluce (dipende dalla curvatura dei menischi, non dal numero di lenti o dal
trattamento), come si nota nell'angolo in alto a sinistra; E' comunque un obiettivo piccolo, leggero
e pratico da usare, grazie alla possibilità di esporre TTL, all'accoppiamento al telemetro e
alla disponibilità di cornici interne per questa focale; naturalmente la luminosità massima di f/6
richiede film di alta sensibilità.

 

 


Dal dettaglio di questa immagine si può notare, viceversa, come sui bordi le linee ad andamento
sagittale (coerenti alla diagonale che parte dal centro) presentino nitidezza molto superiore, un
comportamento astigmatico davvero strano in un Topogon, anche se magari si tratta di un
problema di allineamento del singolo esemplare, non riconducibile alla intera produzione.

 

 

Lo Jupiter-12 35mm f/2,8 è molto quotato fra gli utenti, ed in effetti fornisce un'impressione
di buona brillantezza, considerando che lo schema risale a metà anni '30...

 

 

Secco e pulito e con un buon fingerprint: lo Jupiter-12 35mm f/2,8 è ancora attuale.

 

Tanto per agitare ancora di più il rovello, ho affrontato il solleone con una M6
rovente, caricata a Velvia 100 Professional, ed ho eseguito alcuni scatti con i
tre obiettivi sovietici, abbinandoli a parità di condizioni (soggetto, apertura, etc.)
ad equipollenti obiettivi Leica-M originali, utilizzando per eccesso di scrupolo
un cavalletto Manfrotto 190, nonostante i tempi di scatto adeguatamente rapidi;
naturalmente io non sono un Leichista DOC, e non dispongo certamente dell'intero
arsenale suddiviso per decadi, etc., quindi ho utilizzato quello che passava il
convento, cioè il mio corredo, abbinando il Russar MR-2 all'Elmarit-M 21mm
f/2,8 pre-Asph., l'Orion-15 28mm f/6 all'Elmarit 28mm f/2,8 prima serie a 9 lenti
dei primi anni '60 e lo Jupiter-12 35mm f/2,8 al Summicron-M 35mm f/2 7 lenti
pre-Asph: so che non c'è coerenza tecnica e cronologica, ma è meglio di niente...

 



drawings: Vicent Cabo

i tre obiettivi che ho abbinato alle ottiche sovietiche su Leica M; ovviamente li ho utilizzati
a diaframmi mediamente chiusi, senza andare a cercare quelle doti di rendering sui vati piani
alle maggiori aperture per i quali vanno famosi, ma sono quantificando la nitidezza disponibile
in relazione agli economicissimi sovietici (che ho pagato in blocco meno di un mirino esterno
Leica...)

 

Davvero molto soddisfacente lo Jupiter-Biogon che, a distanza di oltre 70 anni, rende onore
al suo progetto originale; la diapositiva del Summicron, in proiezione, è più "pastosa" ed un filo
più satura, ma lo Jupiter ha una buona risoluzione (non è stato applicato alcuno sharpening nè
in scansione nè in Photoshop) e, pur con la percezione di una resa "diversa", a diaframma f/8
fornisce una resa dei dettagli non dissimile da Summicron, la cui tridimensionalità e presenza
sulla bolla centrale ad f/2 è ovviamente eccellente (ricordate gli stamponi di Salgado della serie
"workers" da fotogrammi scattati ad f/2 con questo stesso obiettivo?), ma che a diaframma ben
chiuso viene tallonato da questo clone del Biogon; incidentalmente, questo Summicron-M 7 lenti
pre-Asph. cromato è il mio secondo obiettivo della stessa serie (il primo era nero e feci permuta),
e risultò leggermente più inciso del precedente, quindi si tratta sicuramente di un esemplare "nello
standard", come certamente questo Jupiter-12 risulta ben centrato. Infine, il campo inquadrato
dallo Jupiter è visibilmente inferiore a quello del Summicron, ad indicare una certa differenza
nelle focali effettive a favore del Leica.

 

in questo scatto del "Pavaglione" di Lugo di Romagna ho abbinato ad f/8 l'Orion-15 28mm f/6
ed il Leitz Elmarit-M 28mm f/2,8 1^ serie a 9 lenti, un esemplare del 1965; ovviamente l'obiettivo
sovietico è penalizzato dall'apertura f/8, dal momento che il Leitz è chiuso di tre stop e quindi lavora
bene "on cam", mentre l'Orion può contare su 2/3 di stop e poco più. Sull'asse il Leitz ha una risoluzione
leggermente superiore (ribadisco l'assenza di qualsivoglia sharpening) e l'Orion-15 può rispondere solo
con un filo di macrocontrasto in più, giusto un'ombra; fuori campo rimane la prevalenza Leitz quanto a
potere risolvente, in questo caso più marcata ed avvertibile.

 

Stesse considerazioni di cui sopra anche per questo scatto: il vecchio Elmarit-M del 1965
presenta una risoluzione leggermente ma percettibilmente superiore in ogni zona del campo,
e la forcella si accentua ai bordi estremi; relativamente all'Orion-15 va anche annotato un
cast cromatico caldo-rosato-magenta, riscontrato poi anche negli scatti eseguiti con il
Russar MR-2 20mm f/5,6 (e non presenti nei fotogrammi dello stesso rullo impressionato
con gli obiettivi Leitz); come nota a margine, entrambi gli obiettivi - su diapositiva a bassa
sensibilità - vignettano vistosamente, anche se l'Elmarit - avvantaggiato da tre stop di chiusura -
contiene il fenomeno rispetto all'Orion (la vignettatura è un problema "storico" nel tipo Topogon)

 

Anche in questi scatti eseguiti con Russar MR-2 20mm f/5,6 e Leica Elmarit-M 21mm f/2,8 pre-Asph.
appare evidente la tonalità caldo-rosata introdotta dall'obiettivo sovietico (ricordo che entrambi gli
scatti sono stati impressionati in sequenza sullo stesso rullo e con lo stesso apparecchio); la bolla luminosa
centrale è evidente con entrambi gli obiettivi, ma più accettabile con l'Elmarit (grazie al progetto semi-retrofocus
e alla chiusura di 3 stop) e ben più vistosa con il Russar (chiuso solamente di 1 stop); anche la resa ottica può
essere penalizzante per il sovietico, meno diaframmato rispetto al Leitz... Sull'asse l'obiettivo Leica presenta
una risoluzione leggermente superiore (le immagini appaiono mediamente morbide per la già descritta assenza
di sharpening) mentre il Russar, nonostante la diaframmazione di appena 1 stop rispetto ai 3 del Leitz, si riprende
sui bordi, notoriamente meno nitidi sul primo Elmarit, fornendo una risoluzione non dissimile; il maggior campo
inquadrato è chiaramente visibile nelle slides a pieno formato.

 

Concludendo, l'universo degli obiettivi applicabili su Leica non si esaurisce certamente agli ottimi
ma costosi esemplari originali, e questi interessanti modelli sovietici o alcuni dei 20-21mm brevemente
descritti in questo articolo possono costituire una inespensiva opportunità per uscire dalla routine e
costruirsi un sistema "di scorta", magari basato su un corpo M malandato o - perchè no? - una
Voigtlaender Bessa o una copia sovietica ben revisionata, da utilizzare in quelle condizioni dove sia
previsto un utilizzo "ruvido", pericoloso o comunque nei contesti dove avremmo qualche patema ad
impiegate il sistema Leica M "di serie A"; per quanto riguarda i tre obiettivi sovietici analizzati in
dettaglio, resa ottica a parte, si tratta sempre e comunque di autentici "landmarks" nella storia
dell'ottica, ed il piacere di fotografare include anche questo, no?

(attrezzature, testi, schemi e foto di Marco Cavina, dove non altrimenti specificato; immagini degli
obiettivi Kobalux: dagli advertising d'epoca giapponesi; immagine del Voigtlaender Color-Skopar
21mm f/4: Cosina-Voigtlaender)

 



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