IL 90° RETROFOCUS PERFETTO:

L'EVOLUZIONE DELLO ZEISS DISTAGON DI SCHUSTER

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Per decenni la palma della massima qualità ed omogenenità sul campo è stata
ad appannaggio dei grandangolari simmetrici, mentre i retrofocali per visione reflex,
sia pure molto nitidi in asse e caratterizzati fisiologicamente da una vignettatura più
moderata, soffrivano parecchio nelle zone periferiche del campo, dove - chi più chi
meno - palesava un rapido calo di risoluzione e contrasto a mano a mano che ci si
avvicinava ai bordi del formato, restando parecchio indietro rispetto a campioni come
Biogon o Super-Angulon; questo status quo pareva ineluttabile ed ormai ci si era
messa una pietra sopra, adattandoci alla minore brillantezza periferica in cambio
dell'impagabile vantaggio della precisa visione reflex.

Questa rigida gerarchia andò in frantumi per opera di Schuster, uno dei più geniali
e metodici progettisti della Zeiss, in occasione del progetto di un 90° retrofocus per
Contax, concepito per chiudere lo iato fra gli stagionati Distagon 4/18 e Distagon 2,8/25;
le specifiche di progetto prevedevano un 21mm di focale con apertura 1:2,8 (allineandosi
in tal modo alla qualificata concorrenza); venne imposto dall'alto il limite delle 13 lenti con
la concessione (insolita per la conservativa Zeiss) di una superficie asferica.

Schuster, a detta del supervisore Woeltche, agì sulle aberrazioni come una sorta di
maglio: anzichè accontentarsi di un'armonica interazione fra di esse lasciandone una
certa quota residua, seguitò a picchiare duro finchè non furono pressochè eliminate:
era nato il supergrandangolare retrofocus perfetto, e con i suoi 90° venne battezzato
Distagon 2,8/21, divenendo subito un fiore all'occhiello del maturo sistema Contax-Yashica,
nonostante il prezzo non certo popolare e decisamente superiore a quello del 4/18.

Per conseguire un tale livello di correzione, che configuravano il Distagon 2,8/21 come
il primo retrofocus da 90° in grado di superare i simmetrici tipo Biogon nel trasferimento
di contrasto, Schuster aveva impiegato un sofisticatissimo ed originale schema con ben
15 lenti con una grande distanza fra il primo e l'ultimo vertice, in modo da distribuire
in modo omogeneo le forze fra le lenti creando un obiettivo privo di tensioni di picco,
come si dice in gergo; nonostante avesse sforato dai parametri previsti (13 elementi come
massimo), la sua rinuncia alla lente asferica gli valse l'avvallo alla produzione; per ottenere
questo eccezionale livello di correzione anche ad f/2,8 (che grazie al sistema flottante
molto sofisticato ed ottimizzato di fino si mantiene costante fino a ben 1:3, anche se poi
la montatura meccanica è limitata ad 1:4) Schuster utilizzò una vasta pletora di sofisticati
ed esotici vetri dalle caratteristiche anomale di dispersione e rifrazione, di provenienza
sia Zeiss che Hoya; questi ultimi presentavano estreme difficoltà di lavorazione per la
loro durezza ma il matematico riuscì a dribblare i mugugni delle officine di taglio e molatura
perchè gli addetti non conoscevano questi vetri giapponesi e quando presero atto della
loro tempra l'ottica era ormai avviata alla produzione.

Questo Distagon 2,8/21 rappresenta il primo step di questo eccezionale schema Zeiss;
in realtà l'ottica in questa configurazione fu prodotta in pochi esemplari (si suppone
circa 5.000) e poi tolta dal mercato perchè i famosi vetri esotici erano caratterizzati
dalla presenza di sostanze poi vietate dalle recenti normative CEE che avevano messo
al bando dai vetri elementi come Cadmio, Arsenico e Piombo, e semplicemente era
diventato impossibile produrre l'ottica perchè alcuni dei numerosi vetri necessari erano
spariti dai cataloghi Schott ed Hoya...

Una risposta a questa problematica si più ammirare in quello che considero lo step 2 di
questo schema, ovverosia il Distagon 3,5/35 per Contax 645, basato chiaramente sulla
stessa matrice ma realizzato con un numero inferiore di vetri, in quanto grossi menischi
(probabilmente ad alta rifrazione) sostituiscono in tronco alcune lenti, garantendo un
identico angolo di campo con 11 elementi soltanto, anche se la distribuzione delle forze
nello schema è ora più concentrata su certe lenti; tuttavia nel grosso doppietto centrale,
qui passato a tripletto, si nota come Schuster avesse fatto tesoro delle esperienze del
giapponese Wakimoto-san della Nippon Kogaku: infatti le superfici di contatto interne
dei due elementi esterni sono convesse e quelle della lente inclusa concave, secondo il
concetto convex-concave-convex; in questo modo la potenza dell'elemento interno,
più ridotta, introduce meno aberrazioni di una omologa biconvessa ad alta curvatura.
un fattore molto importante in quella posizione dello schema, abbastanza prossima al
diaframma; naturalmente la rinuncia ai numerosi vetri esotici portò una resa leggermente
inferiore, specialmente nella calotta tangenziale, anche se il 3,5/35 Distagon per il 
medio formato è comunque un obiettivo eccellente, sia pure leggermente inferiore
- stavolta - al 4,5/38 Biogon dell'Hasselblad Super Wide.

L'ultima evoluzione, o step 3, secondo questa mia classificazione arbitraria, è costituita
dalla moderna versione del classico Distagon 4/40 per Hasselblad V 6x6cm, il CFE IF;
in questo caso l'esigenza non era più quella di sostituire i vetri esotici ed inquinanti non
più prodotti, bensì quella assai più impegnativa di adattare la proiezione della coniugata
posteriore ai grossi sensori dei moderni dorsi digitali, ormai entrati nel lessico fotografico
comune dei professionisti più affermati od à la pàge, seguendo due indirizzi: rendere la
proiezione quanto più possibile telecentrica e configurare forma e potenza del gruppo
ottico posteriore nonchè l'antiriflessi multistrato per passivare e minimizzare i riflessi
parassiti che i filtri tagli-basso posti davanti al sensore creano quando si espone, e la
modifica appare evidente dallo schema ottico in sezione, dove le ultime lenti si
configurano secondo concetti non lontani dall'ultimo gruppo di certi recentissimi
obiettivi zoom giapponesi nati per il digitale; nel contempo si è lavorato anche sul
livello generale di correzione, e l'MTF di questa versione per il 6x6, pur mantenendo
la fisionomia di resa generale del 3,5/35 per Contax 645, è decisamente più elevato
e finalmente superiore allo stesso, mitico Biogon 4,5/38, considerato il 90° perfetto.

In tutte e tre le versioni si tratta dunque di una pietra miliare che ha segnato un cambio
di tendenza, portando il retrofocus alle sue massime, inesplorate ed anche inaspettate
potenzialità, tali da surclassare quei simmetrici che si ritenevano uno standard inarrivabile;
Schuster può essere ben fiero di questa sua creatura che lo ha consegnato alla storia.

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l'evoluzione del 90° retrofocus di Schuster: la prima versione, con molti vetri particolari sia Schott che Hoya; la
seconda che ne fa a meno perchè vietati dalle nuove normative e al terza con gruppo ottico posteriore modificato
in funzione della resa ottimale anche sui sensori dei dorsi digitali: tre facce della stessa, splendida medaglia.






il successione, gli MTF dei Distagon 2,8/21 Contax, 3,5/35 Contax 645 e 4/40 Hasselblad;
l'ultimo della serie, aggiunto per riscontro, è quello del Biogon 4,5/38, considerato per
decenni il migliore 90° del mondo, obiettivo perfetto; l'ultima evoluzione del retrofocus di
Schuster, il 4/40 per Hasselblad, nonostante i compromessi legati alla progettazione con
un occhio al digitale è il primo obiettivo per visione reflex a superare i valori del Biogon

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