OBIETTIVI  PER  FOTOCAMERE  COMPATTE  35mm:

PANORAMICA  SUI  MODELLI  PIU'  FAMOSI

DEL  RECENTE  PASSATO


ABSTACT

Behind-the-scene and technical specs of some gourgeous lenses
fitted on the most famous 35mm compact camera based
on silver halide film, with unprecedented data.

05/03/2009

Attualmente la gamma degli apparecchi fotografici digitali compatti presenta un'enorme diffusione
e non possiamo che condividere l'apprezzamento di chi vuole una fotocamera di piccolissime
dimensioni, leggera e sempre pronta all'uso nei contesti più disparati, dove un corredo convenzionale
sarebbe d'intralcio; questo principio informatore fu recepito dai costruttori già molti anni fa, e modelli
chiave come le Rollei 35, le Minox 35 o la successiva Olympus XA crearono una nuova nicchia
affollata da apparecchi estremamente compatti e solo all'apparenza semplici o destinati ad un'utenza
entry-level, mentre in realtà la loro dotazione ottica era costituita da un obiettivo fisso di prim'ordine,
capace di risultati insospettabili; già negli anni '70 ed '80 si arrivò a raffinatezze come i Gauss montati
sulle compatte della serie Canon Canonet o Minolta Hi-Matic, con luminosità massime superiori ad
f/2 e valori di risolvenza invidiabili, trend destinato poi ad esplodere con gli anni '80 e '90 e l'avvento
di apparecchi-cult come le Contax della serie T, le Nikon 28 e 35Ti, le Ricoh con prestigiosa ottica
GR, la Minolta TC-1 con un'altrettanto sofisticato 28mm asferico, eccetera: come ho già avuto modo
di annotare, queste compatte muscolari con obiettivo di rango vissero una fiammeggiante stagione,
evolvendosi poi nei modelli digitali d'alta gamma che oggi conosciamo; in onore di queste speciali
fotocamere del recente passato, tuttora molto ambite ed utilizzate con grande soddisfazione da un
manipolo di raffinati e competenti fotografi, propongo a tutti voi una carrellata sulle dotazioni ottiche
di alcuni fra i più famosi apparecchi della categoria, passati alla storia per varie ragioni ma tutti
accomunati dalla presenza di un obiettivo di alta qualità, sovente infarcito di raffinatezze tecniche
riscontrabili solo nei più costosi obiettivi professionali destinati alle reflex.

(Puntualizzo brevemente che la scelta dei modelli non è legata a specifiche preferenze
personali e l'eventuale esclusione di alcuni esemplari è semplicemente legata all'assenza
di una quantità d'informazioni sufficiente a soddisfare i miei standard)

Il nostro viaggio ha inizio con un apparecchio presentato ad inizio anni '90 che, nonostante
le squisite caratteristiche ottiche e meccaniche, ha avuto scarsissima diffusione nel nostro
paese, sia per la strategia di mercato dell'importatore nazionale (un po' rinunciataria a
fronte dell'aggressività mediatica di altri concorrenti) sia per il prezzo di listino francamente
esagerato; un vero peccato, perchè la Minolta TC-1, al di là del nobile blasone, poteva
vantare numerose frecce nel suo arco, iniziando dallo scafo in Titanio per concludere con
l'acuto finale del prestigioso obiettivo G-Rokkor (l'acronimo G indica le ottiche professionali
di casa Minolta) da 28mm f/3,5, un grandangolo accreditato di elevata risoluzione e dotato
di caratteristiche incredibilmente raffinate: tre superfici asferiche, schema moderno e simile
come concetto a quello di alcuni grandangolari Leica-M asferici dell'ultima generazione e
addirittura diaframmi perfettamente circolari ad inserimento: in pratica non esiste un iride
regolabile composto da lamelle sovrapposte, ma il diaframma è costituito da fori perfettamente
circolari e ricavati su un supporto rotante ed in grado di cambiare le aperture con un
meccanismo simile a quello impiegato nei filtri interni di certi obiettivi grandangolari...
Questa sofisticata soluzione garantisce un bokeh allo stato dell'arte, anche se impedisce
di regolare l'apertura su valori intermedi (sono presenti solamente i fattori interi f/3,5 -
f/5,6 - f/8 - f/16).

Il calcolo ottico del G-Rokkor 28mm f/3,5 fu affidato da Minolta ai matematici Soh
Ohzawa e Junii Hashimura e venne completato verso la fine del 1991; è interessante notare
che il progetto originale prevedeva una focale ancora più spinta, un 24mm f/3,5 poi
convertito poco prima della produzione in un più versatile 28mm, approfittando della
modifica per aggiungere una superficie asferica alle due previste in origine; ecco lo
schema ottico del G-Rokkor 28mm f/3,5 assieme a quello di tre prototipi dai quali
deriva, corredato di tutti i parametri di progetto (rifrazione e dispersione dei vetri,
raggio di curvatura, spessori e distanze, parametri delle superfici asferiche): sono dati
mai divulgati prima che illuminano i misteri tecnici che hanno sempre avvolto questo
famoso obiettivo.

 

Lo schema del G-Rokkor 28mm f/3,5 abbinato ai tre prototipi da 24mm dal quale fu derivato;
le principali differenze sono relative al raggio di curvatura R5 (la superficie anteriore della terza
lente), meno pronunciato e dotato di profilo asferico aggiunto (nei prototipi solamente i raggi
R6 ed R9 sono a profilo parabolico). Nel modello definitivo la terza lente presenta entrambe
le superfici a curvatura asferica, senz'altro una grande raffinatezza tecnica che fa il paio col
già citato diagramma circolare ad inserimento.

 

Le aberrazioni principali relative ai tre prototipi da 24mm f/3,5; nel progetto
originale è contemplato anche un 28mm ma sia la luminosità inferiore (f/4,5)
sia lo schema leggermente diversificato e costituito solamente da 4 lenti escludono
un collegamento col 28mm montato sulla Minolta TC-1

 

Un retroscena interessante è rappresentato dalla realizzazione di una tiratura limitata di obiettivi
in attacco Leica LTM con piacevole finitura retrò satinata chiara abbinata al nocciolo ottico del
G-Rokkor 28mm f/3,5; quest'obiettivo fa parte di un particolarissimo e ristretto novero di
modelli realizzati principalmente per il mercato interno giapponese (dove l'allure di queste
ottiche era più sentito) e caratterizzati da una montatura in attacco Leica 39x1mm e finitura
che occhieggia i modelli Leitz del passato, nei quali è stato trasferito il gruppo ottico di alcuni
obiettivi nati come equipaggiamento di queste compatte di prestigio: G-Rokkor 28mm f/3,5,
Ricoh GR 28mm f/2,8 e  Ricoh GR 21mm f/3,5; nello schema è riportata la sezione del
G-Rokkor 28mm f/3,5 in montatura LTM, dal quale si può intuire il ridottissimo spazio
retrofocale utile che separa l'ultima lente dal piano focale (ricordo che la battuta della flangia,
oltre la filettatura d'innesto  e più o meno all'altezza dello spazio fra la seconda e la terza
lente anteriore si trova ad appena 28,8mm dal piano focale...). Gli MTF originali misurati a
10, 20 e 40 cicli/mm evidenziano valori eccellenti fino a 16mm fuori asse, a livello di quelli
garantiti dai migliori obiettivi per reflex e telemetro, con un calo avvertibile negli ultimi 5mm
di diagonale che non comporta comunque valori mediocri nemmeno ai bordi.


Un obiettivo che entrerà in concorrenza diretta col G-Rokkor 28mm f/3,5 è il Nikkor 28mm f/2,8
a 7 lenti (già ampiamente discusso in altra sede) che equipaggiava la famosa compatta Nikon 28Ti
del 1994, un apparecchio che per raffinatezza tecnica, dotazione ottica e prezzo rappresentava il
concorrente naturale della Minolta TC-1; riassumo brevemente le peculiarità di questo Nikkor,
rimandando gli interessati all'esaustivo pezzo monotematico già pubblicato.

Corpo in Titanio, esclusivo display analogico, lettura Matrix 3D, obiettivo correttissimo
a 7 lenti: la Nikon 28 Ti incarnò il rivale per eccellenza della Minolta TC-1.



Lo schema ottico del Nikkor 28mm f/2,8, calcolato da Motoyki Ohtake e
Motohisha Mori fra il 1991 ed il 1993, rinunciava alla raffinatezza delle
superfici asferiche presenti nel 28mm Minolta ma utilizzava ben sette lenti,
alcune delle quali realizzate con pregiati vetri ad alta rifrazione/bassa dispersione.


Come già evidenziato nell'articolo dedicato, il Nikkor 28mm f/2,8 montato sulla Nikon
28 Ti del 1994 garantiva un eccellente stato di correzione, con distorsione ed aberrazione
cromatica laterale estremamente ridotte; i diagrammi MTF sono parimenti eccellenti ed
anche in questo caso un'avvertibile flessione si manifesta solamente negli ultimi 5mm di
diagonale: probabilmente è un "sacrificio" considerato accettabile (si tratta dei bordi estremi)
e messo in atto per garantire le elevate prestazioni generali.

 

La Nikon realizzò un apparecchio "gemello" dotato di finitura color champagne
ed obiettivo da 35mm f/2,8 a 6 lenti, denominato Nikon 35Ti; anche in questo
caso l'obiettivo è sofisticato e garantisce elevate prestazioni, limitando l'unica
pecca manifestata dal 28mm f/2,8: una vistosa vignettatura.

 

Come anticipato all'esordio, la Franke & Heidecke di Braunschweig ha avuto un
ruolo chiave nella definizione e nella diffusione del concetto di compatta d'alta gamma;
il modello più significativo è rappresentato senz'altro dalla Rollei 35, una capolavoro
di micromeccanica presentato alla Photokina del 1966 che in uno scafo squadrato e
realmente tascabile concentrava gli sforzi di quattro grandi firme tedesche del settore:
Rollei per la meccanica, Zeiss per l'ottica, Gossen per l'esposimetro e Deckel per
l'otturatore Syncro-Compur! L'apparecchio esordì con un Tessar 40mm f/3,5 a quattro
lenti ma il modello più prestigioso è rappresentato dalla successiva Rollei 35S, equipaggiata
con un più sofisticato Sonnar 40mm f/2,8 e rimasta in produzione a colpi di edizioni
speciali fino a tempi recenti, senza mai rinnegare l'immortale dotazione ottica d'origine;
da questo schema base (membro anteriore con tre lenti singole collettive e membro
posteriore costituito da un doppietto collato) è stato derivato anche il Sonnar 38mm
f/2,8 che equipaggerà le famose Contax T e Contax T2 prodotte dalla Kyocera e
persino il Nikkor 35mm f/2,8 in dotazione alla prima compatta 35mm prodotta nella
gloriosa storia della Nippon Kogaku, la Nikon L35AF del 1983; andiamo con ordine!


    

L'obiettivo per la Rollei 35S era un Sonnar 40mm f/2,8 a cinque lenti, da quale venne derivato
(con un importante variazione nel raggio d'accoppiamento del doppietto posteriore) anche il
Sonnar 38mm f/2,8 che equipaggiò le famose Contax T e Contax T2.

Lo Zeiss Sonnar 40mm f/2,8 (in realtà venne sempre prodotto da Rollei su licenza, con la
denominazione Sonnar HFT Made by Rollei) venne progettato da Erhard Glatzel ed Heinz
Zajadatz e rappresenta l'archetipo del tipo Sonnar moderno, poi ampiamente sfruttato nel
corredo Contax anni '70 ed anni '80; ecco lo schema ricavato dal progetto originale con
i relativi vetri ottici adottati.

 

Il Sonnar 40mm f/2,8 della Rollei 35S utilizza uno schema a cinque lenti caratterizzato da
un membro anteriore con tre elementi spaziati ad aria ed un posteriore costituito da due
lenti collate; i due gruppi principali sono divisi dal diaframma. Il progetto prevede l'adozione
di pregiati vetri Flint  al Lantanio e contemplava addirittura 14 prototipi diversi, caratterizzati
da luminosità comprese fra f/1,2 ed f/3,5 ed angoli di campo che spaziavano da 54° a 18°, una
procedura consueta per Erhard Glatzel che era solito sviscerare tutte le possibili variabili inerenti
un nuovo schema ottico; ecco l'elenco dei prototipi e le relative caratteristiche:

  1) 50° f/2,9
  2) 53° f/2,7
  3) 43° f/2,3
  4) 33° f/1,6
  5) 52° f/3,5
  6) 51° f/2,9
     7) 53,8° f/2,9
  9) 41° f/2,5
10) 41° f/2,5
   11) 32,5° f/1,4
12) 33° f/1,4
13) 33° f/1,2
14) 18° f/1,3

Il settimo prototipo corrisponde al Sonnar 40mm f/2,8 di produzione.

 

Lo Zeiss Sonnar 40mm f/2,8 presenta una resa eccellente sull'asse
del fotogramma ed un calo avvertibile ma non drammatico nelle
zone periferiche; la distorsione è contenuta alla soglia della
visibilità mentre la vistosa vignettatura ad f/2,8 scompare
completamente ad f/5,6, apertura che garantisce una distribuzione
luminosa eccezionalmente buona, considerando il ridotto diametro
della montatura e della lente anteriore.



Lo schema base di Glatzel è stato utilizzato per ricavare il Sonnar 38mm f/2,8 impiegato
sulle compatte Contax T e T2, anche se il raggio di curvatura del doppietto posteriore
cambia segno ed esce dall'alveo dei Sonnar moderni (85mm f/2,8 - 100mm f/3,5 -
135mm f/2,8) che derivano dal principio del 40mm originale; è interessante notare
che anche l'obiettivo montato sulla prima compatta della storia Nikon, la L35AF
del 1983, ha uno schema quasi identico al Sonnar 38mm f/2,8, con la scelta personale
di avvicinare talmente i membri anteriore e posteriore da rendere impossibile l'interposizione
del diaframma, che divenne posteriore; la cronologia della progettazione è praticamente
coeva, quindi credo che nè alla Zeiss nè alla Nippon Kogaku abbiano "copiato" dal
rivale ma forse si tratta di una "convergenza evolutiva" casuale...

 

La successiva Contax T3 abbandonava lo schema Sonnar a 5 lenti preferendo una
struttura più complessa a 6 lenti in quattro gruppi, i cui principi riecheggiano ancora
oggi, 2009, nello schema del compatto Zeiss C-Biogon 35mm f/2,8 ZM in attacco
Leica; notare la vistosa vignettatura, bestia nera delle compatte a cagione della
ridottissima sezione dei loro obiettivi e della copertura grandangolare con minimo
spazio retrofocale utile, penalizzante per la legge di Lambert.

 

Sul versante Nippon Kogaku, il grande costruttore giapponese ha presentato nel tempo
numerose ed interessanti compatte, abbandonando la linea aziendale dei "duri e puri"
che si dedicano unicamente a prodotti di alta qualità destinati ad una fortunata elìte di
iniziati e strizzando l'occhio nel tempo alle grandi masse di utenti non specializzati; a
parte l'acme rappresentata dalle già citate Nikon 28Ti e 35Ti, ritengo interessante
ricordare quella che fu la prima compatta Nikon in assoluto a gettarsi nella mischia e
ad infrangere un tabu che i Nikonisti pensavano ormai inviolabile: grande fu infatti lo
scalpore che suscitò alla Photokina del 1983 quella piccola compatta nera col celebre
marchio orgogliosamente ostentato!

 

La Nikon L35AF fu la prima compatta realizzata da Nikon e lanciata nel 1983;
l'obiettivo in dotazione era un Nikon Lens 35mm f/2,8 a cinque elementi, nel
quale l'assenza della denominazione "Nikkor" fece nascere la leggenda metropolitana
di un subappalto per la progettazione e la costruzione dell'ottica: nulla di più falso.


L'obiettivo della Nikon L35AF fu calcolato da Koichi Wakamiya entro
l'ottobre del 1981 e si basava come detto su uno schema analogo a
quello del Sonnar 38mm f/2,8 per Contax T; lo schema Nikon non è del tutto
coerente con le potenze diottriche dei successivi schemi Sonnar tipo tele
realizzati per Contax-Yashica, presentando un doppietto posteriore col
raggio di curvatura dispersivo, più analogo a quello presente nel tipo Tessar,
mentre il modello originale da 40mm concepito da Glatzel presentava un
doppietto posteriore con raggio di curvatura interno ad andamento
collettivo, usuale per il Sonnar ed opposto a quello adottato nel Tessar.
Wakamiya-San, che alcuni anni dopo evolverà questo schema in una versione
più rarefatta a quattro lenti, con membro anteriore costituito da due elementi,
è un progettista poco conosciuto, ma molti gli saranno grati sapendo che si
deve a lui lo schema ottico di tutti gli AF-Nikkor 50mm f/1,4 prodotti dall'origine
fino all'introduzione della nuova versione AF-S G; l'obiettivo della Nikon L35AF
ha dimensioni minuscole ma non rinuncia alle raffinatezze proprie dei Nikkor per
reflex ed impiega tre lenti in vetro Flint e Krown al Lantanio ad alto indice di
rifrazione e bassa dispersione, mentre l'ultima lente è in vetro SK16, un materiale
"storico", utilizzato da molti decenni qualora serva un vetro di rifrazione medio-alta
e dispersione ridotta; il diaframma è posteriore, al di fuori del nocciolo ottico, e non
saprei dire se e quanto la sua chiusura influisca sulla qualità d'immagine.

 

Wakamiya mise a punto quattro prototipi, il primo dei quali
entrò in produzione; ecco i diagrammi con le principali aberrazioni
relative alle quattro versioni: il controllo non è esemplare ma
si tratta di un obiettivo destinato ad un apparecchio di grande
diffusione e solitamente utilizzato da clienti non specializzati che
non cercano il pelo nell'uovo; come spesso avviene in questi casi,
la correzione dell'astigmatismo è stata messa in atto a discapito
della curvatura di campo, andando ad "intercettare" forzatamente
le due calotte.


Un'altra azienda che seppe ritagliarsi un posto di rilievo nel gotha del
settore fu la giapponese Ricoh; l'Azienda aveva sempre costruito valide
fotocamere compatte per pellicola 35mm dotate di telemetro ed obiettivi
di buona qualità che le permisero di conseguire una certa fama ed una soddisfacente
penetrazione nel settore, tuttavia con i modelli GR-1 e GR-21 compì un vero salto
di qualità e mise sul mercato due modelli divenuti leggendari per le loro prestazioni
ottiche.



Le compatte Ricoh GR-1 e GR-21 sono passate alla storia per la qualità superiore dei loro
obiettivi; si tratta di apparecchi estremamente compatti, al punto che lo spessore del corpo
è inferiore a quello del caricatore 135 ad esso destinato, e quest'ultimo viene alloggiato
sfruttando lo sbalzo ulteriore dell'impugnatura anatomica.

 

Il segreto delle prestazioni superiori va cercato nei due obiettivi della serie GR abbinate a queste
compatte: la GR-1 vantava un 28mm f/2,8 molto sofisticato, composto da sette lenti con due
superfici asferiche, mentre l'esclusiva e costosissima GR-21 è stata la prima ed unica compatta
(peraltro davvero miniaturizzata) ad adottare un 21mm f/3,5 da ben 90°, concepito utilizzando
nove lenti con una superficie asferica; ho avuto modo di testare di persona entrambi i modelli,
trovando conferma alla fama di questi obiettivi, con l'unica riserva della vistosa vignettatura che
penalizza il minuscolo 21mm f/3,5; ecco gli schemi ottici e gli MTF di questi gioielli.

 

Fin dalla prima occhiata ci rendiamo conto che gli obiettivi montati sulle compatte
Ricoh GR-1 e GR-21 presentano una complessità strutturale davvero insolita per
la categoria; il 28mm offre uno schema moderno che riecheggia suggestioni dei
più recenti 35mm per Leica M e presenta analogie anche col G-Rokkor Minolta
(sia pure con l'elemento dietro al diaframma composto da un tripletto collato anzichè
da un elemento singolo); le superfici anteriori della prima ed ultima lente sono asferiche
ed il trasferimento di contrasto già ad f/2,8 presenta una buona uniformità fin quasi ai bordi,
anche se la frequenza spaziale più alta corrisponde a 30 cicli/mm, parametro certamente
meno impegnativo rispetto ai classici 40 cicli/mm; il 21mm f/3,5 GR montato sull'esclusiva
Ricoh GR-21 impiega ben nove lenti ed anche in questo caso struttura e complessità
dell'architettura sono quelle che solitamente troviamo in ottiche non retrofocus di altissima
gamma come i Leica M; in questo caso è stata adottata solamente una superficie asferica,
ricavata sulla faccia anteriore dell'ultima lente, ed il trasferimento di contrasto è parimenti
elevato ed uniforme fino ai bordi anche a piena apertura f/3,5, prestazione certamente
encomiabile in un supergrandangolare così miniaturizzato.

Simili prestazioni hanno garantito a questi due noccioli ottici una seconda vita insospettata,
seguendo l'esempio del G-Rokkor 28mm f/3,5: acquistati dalla giapponese Kobalux (già
artefice degli Avenon 21mm e 28mm per Leica, poco diffusi in Italia ma celebri nel Sol Levante)
sono stati inseriti in una montatura satinata cromo e molto miniaturizzata, simile a quella di un
Summicron-M 35mm f/2 pre-asph., dotata di attacco a vite 39x1 ed accoppiamento al
telemetro secondo gli standard Leica; questi obiettivi erano marcati semplicemente "GR lens"
(col marchio Ricoh inciso a bassorilievo sul profilo del barilotto, in posizione defilata) e venivano
forniti in un elegante astuccio rigido con rivestimento in tessuto pregiato ed una dotazione che
comprendeva tappo anteriore (sempre serigrafato "GR lens") e mirino ottico esterno con finitura
coordinata in cromo satinato; l'attacco a vite LTM con l'aggiunta di un anello adattatore Leica
1409xx consentiva il pieno utilizzo sui corpi Leica M, ai quali si abbinavano armoniosamente
per estetica, livello di finitura, qualità ottica e , purtroppo, prezzo di listino... Queste tirature
speciali furono realizzate soprattutto per il mercato interno giapponese, dove potevano contare
sulla grande fama che accompagnava i Ricoh GR originali, e sono decisamente insolite in occidente;
un "GR lens" da 21mm f/3,5 per Leica è illustrato nell'ultimo schema proposto.

Tornando brevemente alle compatte Ricoh GR, la GR-1/GR-1s ha incontrato una buona diffusione
anche in Italia grazie al clamore suscitato dalle sue prestazioni ed al prezzo di vendita non esagerato
(nel momento di massimo fulgore il costo era nell'ordine delle 800.000 lire), mentre la GR-21 è
decisamente una mosca bianca sia per l'estrema specializzazione di un 21mm a focale fissa (che,
per quanto eccellente, entusiasmò solamente trekker dediti alle alte vie in ferrata o architetti
minimalisti) sia per il prezzo di vendita incredibilmente elevato e sproporzionato rispetto alla sorella:
per entrare in possesso di una GR-21 occorreva sborsare un'autentica follia, oltre tre milioni di lire!
Dal momento che i corpi macchina sono praticamente identici e la complessità dei due obiettivi è
sicuramente paragonabile (il 28mm presenta due lenti in meno ma una superficie asferica in più),
l'incredibile differenza di prezzo (con rapporto di circa 4:1) va considerata unicamente come frutto
di una spregiudicata scelta commerciale, una sorta di "ricatto" messo in atto sfruttando la totale
assenza di concorrenti...

Il prossimo modello è quasi sconosciuto ma costituisce una pietra miliare nello sviluppo tecnico
e ridefinisce scenari interessanti che modificano i luoghi comuni finora accettati; la tecnologia delle
ottiche stabilizzare è attualmente diffusa ed apprezzata, e a senso comune il merito dell'azione
pionieristica è soprattutto di Canon, che a partire da quel primo, famoso 75-300mm IS ha anticipato
i tempi ed i concorrenti, a partire da Nikon che lanciò il suo primo stabilizzato (lo zoom 80-400 VR)
solamente nel 2000; in realtà la sostanza che si cela sotto questa coltre è di altro tenore, come ho
avuto modo di recepire da tempo studiando brevetti e prototipi mai prodotti: in soldoni, la Nikon
aveva approfondito e sviluppato le tecnologie legate alla stabilizzazione attiva molti anni prima di
quel famoso 80-400mm, ma probabilmente il management della Casa agiva con i piedi di piombo,
mentre Canon è sempre stata più pronta a trasferire la tecnologia pura nella produzione di serie,
convincendo così le masse di appassionati ad attribuirle una riconosciuta leadership nel settore...

L'apparecchio ed il relativo obiettivo che andiamo ad analizzare sono destinati a minare queste
certezze! Infatti, nell'ormai lontano 1994, sei anni prima dell'AF-Nikkor 80-400mm f/4,5-5,6 VR,
la Nikon mise sul mercato una interessantissima compatta di alta gamma, denominata Nikon
zoom 700 VR: si trattava di un apparecchio con autofocus attivo ad infrarossi, motore di avanzamento
e riavvolgimento automatico, pregevole zoom Nikon da 38-105mm f/4-7,8, flash incorporato e,
udite udite, Vibration Reduction System di stabilizzazione attiva abbinato ad un gruppo di lenti dello
zoom, in grado di garantire immagini ferme anche scattando alla focale massima di 105mm con
un tempo di posa da 1/15", annullando così il gap rappresentato dalla limitata apertura massima.


La riuscita silouhette della Nikon zoom 700VR del 1994, moderna e pulita,
nasconde caratteristiche di prim'ordine: uno sofisticato zoom a 12 lenti in 10
gruppi ed un esclusivo sistema di stabilizzazione attiva, giustamente strombazzato
"in prima pagina" sulla montatura anteriore dell'obiettivo, dotato anche di un filtro
neutro protettivo in posizione fissa; questo storico apparecchio è quasi sconosciuto
ma testimonia come la Nikon possedesse nel settore VR una tecnologia matura e
pronta all'industrializzazione ben sei anni prima della presentazione del primo Nikkor
intercambiabile dotato di stabilizzatore; le caratteristiche tecniche di questo sofisticato
apparecchio furono oggetto di lunghi studi e meticolose messe a punto da parte di
un affollato team di tecnici Nikon, fra i quali spiccano Isao Soshi, Hidenori Miyamoto,
Minoru Katou, Junichi Omi e Tatsuo Amanuma; fra il 1993 ed i primi mesi del 1994
furono definiti sei prototipi diversi, ciascuno dei quali destinato a mettere a punto qualche
dettaglio; ho analizzato i progetti originali e sono in grado di allegare gli schemi relativi
ai sei prototipi concepiti prima della produzione di serie.


Il primo problema che i progettisti dovettero affrontare era legato alla sensibilità
manifestata dagli accelerometri piuttosto primitivi usati a quel tempo nei confronti
dei campi magnetici; specificamente, il cablaggio in filo di piombo utilizzato per
trasferire l'alimentazione dalla batteria (sul lato destro) al motore ed al flash incorporato
(sul lato sinistro) creava un campo magnetico che disturbava i sensori; prove
sperimentali dimostrarono che il sensore di imbardata trasversale era meno sensibile di
quello che percepiva l'imbardata verticale, quindi quest'ultimo fu collocato in alto, accanto
alla finestra del telemetro elettronico e lontano dai cablaggi, mentre l'accelerometro delegato
al monitoraggio del "yaw" fu posizionato più in basso; per minimizzare il problema i fili
passavano sul fondello ed erano coperti da uno strato isolante.


Nel secondo prototipo si sfruttò la struttura dei cannotti dell'obiettivo come elemento
di schermo fra i sensori del VR (n° 3 e n°4) e gli elementi responsabili del disturbo,
posizionati sull'altro lato del corpo macchina.

 

I prototipi n° 3, 4, 5 e 6 servirono a perfezionare in modo maniacale un semplice dettaglio:
la miniaturizzazione del corpo macchina e dei relativi circuiti elettronici, cercando il posizionamento
ed il collegamento ottimale fra gli accelerometri, il circuito con il chip che comandava i motori dello
stabilizzatore ed il circuito principale dell'apparecchio delegato alla gestione complessiva, prevedendo
anche un guscio esterno concepito in modo da garantire sia una facile manutenzione/sostituzione di
componenti elettronici difettosi sia la verifica funzionale del VR e la relativa taratura di fabbrica su ogni
esemplare già completamente assemblato: l'elettronica del tempo non era miniaturizzata come quella
attuale e servì un comprensibile sforzo per ottimizzare gli spazi.

 

Dal punto di vista ottico, lo zoom 38-105mm stabilizzato montato sulla Nikon zoom 700 VR  fu calcolato
fra il 1992 e l'inizio del 1993 da Susumu Sato ed Atsushi Shibayama; la scelta di questi due progettisti
tradisce l'attenzione posta dalla Nikon affinchè l'apparecchio venisse sviluppato al massimo delle proprie
possibilità: i due progettisti sono infatti due esponenti di spicco che hanno realizzato alcuni dei più famosi
Nikkor professionali; Susumu Sato fu un pioniere dei sistemi di stabilizzazione, e già nel 1991 aveva calcolato
dei prototipi zoom-Nikkor e addirittura reflex-Nikkor catadiottrici dotati di stabilizzatore, e fra gli altri è
il padre di "vetri" come lo zoom-Nikkor 1200-1700 f/5,6-8, gli AF-S VR zoom-Nikkor 70-200mm f/2,8
e 200-400mm f/4 ed i primi tele AF-S da 300mm f/2,8, 500mm f/4 e 600mm f/4... Dal canto suo, Atsushi
Shibayama aveva lavorato molto su prototipi mai giunti in produzione, ma ha firmato anche i celebri zoom
professionali 20-35mm f/2,8 e 70-180mm f/4,5-5,6 micro: si trattava in sostanza di due personaggi con
grandissima esperienza nel settore specifico degli zoom e dei dispositivi di stabilizzazione; il progetto per il
38-105mm f/4-7,8 si basava su due differenti esemplari, uno a 12 lenti privo di vetri ED (poi avviato alla
produzione) ed un'altro basato su 13 lenti, due delle quali in vetro ED ed altre quattro ottenute con vetro
Fluor/Phoshor Krown  a bassa dispersione: una versione "deluxe" e probabilmente troppo costosa che
fu scartata a favore del modello più semplice; ecco gli schemi ottici dei due modelli con le relative
caratteristiche dei vetri impiegati e le esatte spaziature dei flottaggi a focale minima, media e massima.


L'inedito schema dello zoom Nikon Lens 38-105mm applicato alla Nikon zoom 700 VR;
l'obiettivo si basa su tre gruppi mobili principali, ed il gruppo G2 è a sua volta suddiviso
in due moduli secondari G2F e G2R, spaziati dal diaframma; il modulo G2R è in grado di
flottare trasversalmente sui due assi garantendo la stabilizzazione attiva. Durante la variazione
di focale gli spazi variabili sono quelli indicati come D6, D17 e BF (back focus), e le relative
quote sono riportate nella tabella in basso; la focale effettiva è 39-102mm e la luminosità
effettiva f/4,08 - f/8,05; oltre al gruppo diaframma/otturatore è presente un secondo diaframma
fisso nello spazio D17, in prossimità della terzultima lente, che funge da "light baffler" per
ridurre il flare da riflessi parassiti. Per quanto concerne i vetri, sono presenti tre lenti ad alta
rifrazione e bassa dispersione oltre a due vetri ad alta rifrazione/alta dispersione, uno dei
quali, il posizione L8, è un vetro proprietario progettato ed utilizzato in esclusiva dalla stessa
Nikon; sono invece assenti i vetri ED ma troviamo in posizione L7 un  vetro Phosphor Krown
proprietario Nikon con dispersione molto ridotta (vD prossimo a 70); questo vetro è collato
al già descritto elemento L8 ad alta rifrazione e dispersione (nD= 1,86074   vD= 23,0) e
costituiscono assieme un potentissimo doppietto acromatico.

 

In questo schema ho riportato tutti i parametri di progetto del secondo prototipo: sezione,
raggi di curvatura, spessori e spazi sull'asse, caratteristiche dei vetri e spaziature dei flottaggi;
questa versione è più complessa, presenta una lente in più nel sottogruppo L2R e vanta
una impressionante schiera di vetri speciali, dei quali due ad alta rifrazione/bassa dispersione,
tre ad alta rifrazione/alta dispersione, due ED di tipo proprietario (vD= 82,6), tre Fluor Krown
ed un Phosphor Krown a bassa dispersione, cui vanno aggiunte le ultime due lenti in LAK21,
vetro con insolito rapporto fra rifrazione medio alta e dispersione medio/bassa: in pratica tutte
le 13 lenti sono realizzate con vetri "non convenzionali", uno sforzo teso soprattutto al controllo
dell'aberrazione cromatica che lascia intuire l'intenzione di applicare a questo eccezionale compatta
stabilizzata un obiettivo zoom altrettanto straordinario; probabilmente il computo finale dei costi
di produzione avrà fatto sobbalzare qualcuno sulla poltrona, condannando alla soffitta questo
notevole prototipo.

 

Parlando di grandi obiettivi per compatte, non potevamo trascurare Leica, uno dei brand simbolo
dell'ottica fotografica; naturalmente il pensiero corre immediatamente al celebrato Summarit a sei
lenti, tuttavia in questa sede descriverò le caratteristiche di un obiettivo più "plebeo" e dimesso,
l'Elmar 35mm f/3,5: infatti, nonostante si tratti di un obiettivo poco appariscente, è stato calcolato
da Lothar Koelsch in persona! L'Elmar 35mm f/3,5 fu progettato nel 1991 da Lothar Koelsch e
Klaus-Dieter Schaefer ed è molto interessante perchè, pur adottando uno schema a 4 lenti in 3
gruppi, si discosta dal classico modello tipo Tessar ma adotta il doppietto collato in posizione
anteriore, con due lenti di diametro quasi sproporzionato nel tentativo (peraltro non coronato da
completo successo) di ridurre la vignettatura tipica di questi sistemi ottici così sottodimensionati.
Quest'ottica fu montata su compatte come la Leica Mini II.


Lo schema del 4 lenti Elmar 35mm f/3,5 per compatte è decisamente inconsueto
e presenta il doppietto collato in posizione anteriore, una sorta di tripletto di Cooke
con elemento frontale sdoppiato e di grande diametro; lo spazio fra gli elementi ed
il loro raggio di curvatura impedisce l'interposizione dell'iride, ed infatti sia il diaframma
che l'otturatore sono in posizione posteriore, dietro al gruppo ottico. Il piccolo
obiettivo si avvale di vetri moderni, con due elementi ad alta rifrazione/bassa dispersione
ed uno ad alta rifrazione/alta dispersione; lo spazio retrofocale in posizione di esercizio
è pari a circa 24,5mm; nello schema ho riportato anche i raggi di curvatura delle superfici,
gli spazi e gli spessori degli elementi sull'asse.

 

Le principali aberrazioni misurate sull'Elmar 35mm f/3,5 evidenziano una distorsione
contenuta entro la soglia di visibilità, una luminosità periferica abbastanza carente
anche a diaframmi medi (evento ineluttabile con le dimensioni in gioco) ed una certa
curvatura di campo probabilmente accettata per contrastare l'astigmatismo, avvertibile
solamente negli ultimi 3mm di diagonale.

 

L'accuratissimo standard di progettazione proprio di Koelsch e Leica venne applicato
anche al piccolo Elmar 35mm per compatte: ecco un completo monitoraggio delle sue
aberrazioni trasversali (con calotta ad orientamento sagittale e tangenziale) e del coma
sagittale; i valori non sono da primato ma configurano senz'altro un obiettivo di qualità
esuberante rispetto alle tipiche esigenze di chi utilizza una compatta 35mm.

 

Quanto descritto in questa sede si basa sul principio informatore delle prime Leica,
grandi foto partendo da piccole dimensioni, ed è un concetto tuttora valido e credo
condivisibile da chiunque; gli obiettivi ed i relativi apparecchi appena presentati hanno
costituito la punta di diamante di un movimento che ebbe un grande boom dalla seconda
metà degli anni '70 e concretizzano l'idea semplice ed al tempo stesso geniale di applicare
ad apparecchi leggeri, tascabili e pronti all'uso un obiettivo di qualità superiore alla norma,
in grado di garantire prestazioni difficilmente distinguibili da quelle solitamente riscontrate
nei sistemi reflex professionali. Piccole dimensioni, interfaccia utente semplice, grandi prestazioni:
una formula magica che non può lasciare indifferenti!





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